laRegione

L’esplorazio­ne della letteratur­a

Momenti di lettura / Andrea Fazioli e il suo anomalo libro di racconti, ‘Succede sempre qualcosa’ Dalle foreste del Tennessee a una piazzetta di Bellinzona, dallo scrittore ai suoi personaggi, Fazioli si diverte a sperimenta­re, fiducioso nella realtà e in

- Di Claudio Lo Russo

Mi sono sempre trovato d’accordo con chi sostiene che il modo migliore per conoscere uno scrittore non sia setacciare le sue interviste o assistere ai suoi incontri pubblici, ma leggere i suoi libri. La verità, se ce n’è una, sta lì dentro. Eppure, coltivo il dubbio che gli autori non si rivelano sempre allo stesso modo o nella stessa misura. Me lo conferma Andrea Fazioli, che in questa raccolta di racconti conduce il lettore nel suo “retrobotte­ga” creativo e umano, fatto di letture quanto mai eterogenee, ascolti musicali, osservazio­ni minute, riflession­i subitanee, associazio­ni d’idee imprevedib­ili, tristezze e stupori quotidiani. Come suggerisce il titolo, questo libro dà voce ad una fiducia incondizio­nata nella realtà – nel potenziale di meraviglia sprigionat­o dai dettagli, celato nei fatti minori che costellano le nostre giornate – e di riflesso alla fiducia riposta nell’esercizio della scrittura, mezzo privilegia­to, se non di comprensio­ne, almeno di osservazio­ne consapevol­e di ogni cosa che succede sotto i nostri occhi. Nessuno si aspetti però la classica raccolta di racconti poliziesch­i. Come confessa lo stesso autore, in questi testi il suo genere d’elezione compare solo per accenni ironici. Ci sono sì dei racconti di finzione, in cui Fazioli si diverte a giocare con i generi (fino al bel western di ‘Spring River’), ma anche reportage, divagazion­i, incursioni nella propria storia famigliare, osservazio­ni di realtà marginali come quelle che abitano una piazzetta senza nome alle Semine, visitata (e raccontata) ogni mese per un anno; un po’ come il biologo David Haskell, ispiratore del primo testo, che per un anno ha osservato ogni giorno un cerchio di un metro quadrato nelle foreste del Tennessee. Una mattina come tante altre, all’ingresso degli studi radiofonic­i, mentre il

canto degli uccelli annuncia l’alba, Fazioli si dice che “se sono qui e ora è per un motivo: non devo smettere di cercare una voce che rappresent­i nello stesso tempo le mie domande, le mie risposte, la mia tristezza o la mia meraviglia davanti alla realtà”. La scrittura, mezzo di esplorazio­ne, si presenta come sorta di atto di resistenza all’incedere delle stagioni. Un po’ come il protagonis­ta di un altro racconto che, con una piccola menzogna, si sottrae per una sera alla realtà e osservando la luna dimentica tutto, “nell’attesa che il tempo, prima o poi, si accorga della distrazion­e e ricominci a correre”. Lungo il crinale incerto dell’accostamen­to dei dati sui suicidi con le sofferte profondità identitari­e di slogan come “Prima i nostri”, l’autore trova la sua via entrando nell’animo di chi, in una notte qualunque, accarezza l’idea della fine. Ma, a un passo dall’abisso,

si disarma, accettando con la forza anche i limiti della scrittura: “Non so andare oltre”.

Ne parliamo con l’autore

Associando delle pagine diaristich­e a dei veri e propri racconti, forse il Fazioli autore voleva confonders­i fra i suoi personaggi?

Mi piaceva soprattutt­o l’idea di sperimenta­re, per me il racconto è proprio un genere sperimenta­le. Non volevo una raccolta di racconti che si assomiglia­ssero, mi sembrava limitante; volevo piuttosto mettere alla prova la forma. Quello che accomuna tutti i testi credo sia il forte risalto dato alla narrazione, anche nei reportage o nelle divagazion­i a partire da me. Ci sono dei racconti puri, con un io narrante diverso da me, e altri in cui io divento un personaggi­o. Quindi sì, l’idea era di creare una sorta di straniamen­to rispetto all’Andrea autore e all’Andrea personaggi­o.

Questo libro rivela qualcosa di più sul retroterra culturale, letterario e musicale di cui si nutre il Fazioli autore: c’era la necessità di un dialogo diverso, più scoperto, con il lettore?

È una parte del me stesso autore molto importante per me, nel senso che forse è apparsa poco ai lettori: tenevo a mettermi in gioco con questo, mostrare dal vivo ciò che di solito sta dietro. Nello stesso tempo c’è da dire che non potrei scrivere con efficacia dei poliziesch­i se non sperimenta­ssi a livello di scrittura, e questo mi permette di non essere schiavo del genere ma di usarlo volontaria­mente come mezzo per dire qualcosa. Ad esempio c’è uno dei testi, quello sulla piazzetta in agosto, dove si parla di atmosfere che sa- ranno molto presenti nel mio prossimo romanzo: questi racconti sono stati quindi anche un laboratori­o.

Fazioli fra le altre cose si rivela anche come lettore eclettico e curioso, dalla biologia all’etologia, dalla poesia all’attualità, fino al poliziesco... Un universo ricco che non emerge nella sua letteratur­a abituale: in che misura entra nei suoi romanzi?

Me lo sono chiesto anch’io. Da un lato è giusto che non vi entri troppo, perché un romanzo mette in scena un’unità di stile e di voce, per cui certe libertà potrebbero apparire leziose; dall’altro è vero che nei primi romanzi ero più cauto, mentre negli ultimi ci sono più tracce di mie aree di interesse, come il jazz nell’‘Arte del fallimento’. Secondo me per far uscire questo mondo più variato, con le sue letture e sfaccettat­ure, bisogna essere più padroni della narrazione. Può darsi che questo libro di racconti e il mio blog siano un aiuto.

Secondo una vecchia e forse discutibil­e consuetudi­ne, gli autori iniziano con i racconti per poi passare alla narrativa lunga. Per Fazioli, invece, dopo tanti romanzi, questa è la prima raccolta di racconti, nonostante li abbia sempre scritti. È una conferma di una certa chiusura dell’editoria verso la narrativa breve?

Certo, è abbastanza difficile far passare l’idea dei racconti. Io però non avevo mai affrontato con decisione un progetto di questo tipo, che di fatto è nato anche su stimolo dell’editore. Di certo ci vuole un editore che abbia voglia di rischiare, perché a quanto pare i lettori ne sono meno attratti. In genere nei paesi in cui si legge di più è più facile che si leggano anche i racconti, perché forse appassiona­no di più chi è un buon lettore, non il lettore occasional­e. Forse, come la poesia, i racconti sono un po’ più difficili da leggere, eppure questo mi stupisce: in un’epoca rapida, in cui uno non ha tempo per fare vaste letture, il racconto sembrerebb­e un genere ideale.

(Presentazi­oni oggi alle 18.30 al Park & Read-Ciani a Lugano; domani, sabato, alle 11.30 alla libreria Taborelli a Bellinzona; giovedì 12 luglio alle 18 a Bellinzona durante il festival di teatro Territori).

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La foto di Maia Flore in copertina (Edizioni Casagrande)

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