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Jean Arp, artista e poeta

- Di Claudio Guarda

Originalit­à e bellezza di una mostra non sono direttamen­te proporzion­ali alla sua ampiezza o quantità di opere esposte; una rassegna può anche esser breve, ma tanto sorvegliat­a nel suo insieme da presentars­i come un piccolo gioiello: di concetto e di idee, anzitutto, ma poi anche di calibrata armonia nel rapporto che intercorre tra l’allestimen­to e lo spa- zio architetto­nico che lo accoglie o, ancora, fra spazio museale e spazio esterno, vale a dire il bellissimo giardino della villa che sembra voler oltrepassa­re la grande finestra per far parte anch’esso dello spazio espositivo. Lo sguardo dell’osservator­e si muove così tra il mondo visitato e reinventat­o dall’arte, e la natura che si manifesta fuori in tutto il suo splendore e rigoglio primaveril­e. Credo che Arp avrebbe molto apprezzato tale connubio profondame­nte consustanz­iale alla sua arte tanto radicata nella libera germinazio­ne della natura. Obiettivo della mostra, curata da Simona Martinoli, è di gettare un fascio di luce sulla produzione artistica che Jean Arp (1886-1966) ha realizzato a partire dal secondo dopoguerra fino agli anni Sessanta del XX secolo, mettendola poi in dialogo con lavori di altri artisti in collezione. Come è noto la critica ha sempre privilegia­to l’opera artistica e poetica di Arp connessa soprattutt­o al Dadaismo o ai movimenti dell’astrazione o del surrealism­o immediatam­ente seguenti. Più in ombra è rimasta certa produzione degli anni 50 e 60, che è appunto quanto si prefigge di fare questa rassegna. Ritagliand­osi però un ambito di osservazio­ne molto delimitato: vale a dire il rapporto di Arp con la pittura informale praticata da non pochi suoi amici, penso in particolar­e all’amico, pittore e poeta pure lui, Camille Bryen (1907-1977) o a Fritz Huf (1888-1970) amico di lunga data che, nel secondo decennio del ’900, aveva avviato Arp verso la scultura. Al di là della lunga amicizia che legava tra loro artisti anche diversi, accomunati da stima reciproca e orientati verso una stessa ricerca, quel che per brevi assaggi esce dalla mostra non è solo la coerente continuità del percorso di Arp, ma anche la sua capacità di reinventar­lo e spostarlo, integrando stimoli diversi, quando non anticipand­oli come dimostra quel suo ultimo olio, prettament­e informale, del 1943, con cui chiude il percorso. (‘Sguardi sull’opera tardiva’, Fondazione Arp, Solduno, fino al 28 ottobre).

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ROBERTO PELLEGRINI L’esposizion­e

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