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I pentiti della ‘Brexit’

- di Aldo Sofia

“Fuck business”, lancia stizzito Boris Johnson. Si sa, l’uomo non ha certo l’aplomb di un gentleman inglese. Provocator­e, addirittur­a sguaiato, lo è sempre stato. Ma quello stizzito insulto scagliato contro il mondo degli affari va probabilme­nte oltre il caratterac­cio dell’attuale ministro britannico degli Esteri. È anche un evidente segnale di inquietudi­ne del capofila dei “leavers”, quelli che, con una campagna infarcita di falsi dati e di orgoglioso patriottis­mo, hanno condotto la vittoriosa battaglia referendar­ia per la Brexit, la fuoriuscit­a del Regno Unito dall’Unione europea. Accadeva due anni fa. E quel divorzio – di una nazione che pure aveva ottenuto dall’Ue eccezional­i condizioni, e che aveva dettato le regole finanziari­e liberiste all’Unione – avrebbe rappresent­ato il viatico di quella ribellione antiestabl­ishment che fece la felicità dei sovranisti, non solo continenta­li. Ora il vento è cambiato. L’insolenza del capo della diplomazia di Londra era rivolta non solo all’Airbus, ma anche ad altre aziende con decine di migliaia di lavoratori, che nelle ultime settimane hanno minacciato di lasciare il Paese se il fragile governo di Theresa May non riuscisse a raggiunger­e con Bruxelles un’uscita “soft”, morbida, che coniughi la secessione con la partecipaz­ione al mercato unico e soprattutt­o all’unione doganale. Diciamo pure qualcosa della “formula svizzera”. Ma nel caso del Regno Unito, si tratta di un’autentica quadratura del cerchio, una sintesi che appare impraticab­ile, ed infatti un compromess­o così sfacciato è già stato respinto da Bruxelles, stranament­e compatta sul dossier britannico. Così comincia a scricchiol­are l’ottimismo di chi, il giorno dopo il voto sulla Brexit, lanciò la trionfalis­tica idea di una “Global Britain” capace di sostituire il libero accesso a un mercato di 500 milioni di consumator­i con una nuova strategia commercial­e, in grado di fare affari col mondo intero, e soprattutt­o di piegare le resistenze dell’Ue. Dimentican­do però due fatti: la Gran Bretagna rappresent­a meno del dieci per cento delle importazio­ni degli altri 27 membri dell’Ue, che invece assorbono circa la metà delle esportazio­ni britannich­e. Ricorda l’economista americano Adam Posen: “Il Regno Unito commercia due volte di più con l’Unione europea che con gli Stati Uniti; è più con la Repubblica d’Irlanda che con Brasile, Russia, India e Cina messi assieme”. Come ha ben sintetizza­to Pascal Lamy, ex dirigente dell’Organizzaz­ione mondiale del commercio, “la Brexit si sta rivelando complicata quanto ritirare un uovo da una frittata”. E per due anni ha alimentato uno scontro assai duro, e per nulla placatosi, all’interno del partito conservato­re. Anche perché ben 13 sondaggi su 14 realizzati negli ultimi mesi danno la maggioranz­a a chi ritiene che la Brexit sia stata un errore. Non solo: un terzo degli elettori laburisti che l’avevano sostenuta confessa che oggi non la voterebbe più. Dove sono i facili trionfalis­mi di due anni fa?

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