Quella scheggia di Trump
‘Se potessi cenare da solo con Putin, sono sicuro che lo convincerei a ritirarsi dalla Siria’. Questa frase testuale, pronunciata da Donald Trump durante un’intervista concessa alla Fox News, può aiutare a capire perché tante preoccupazioni circondino la
Trump non è soltanto imprevedibile. È anche convinto, spiegano analisti americani, che se il dialogo politico diventa dialogo personale sarà lui il sicuro vincitore. Così stavano le cose anche prima dello storico incontro con Kim Jong-un a Singapore, e non sappiamo ancora come in realtà sia andata, al di là dei sorrisi, quella veloce conversazione. Accadrà lo stesso con Putin? Trump si sentirà vincente sottovalutando l’interlocutore? Sarà invece lui a fare troppe concessioni sulla Crimea, sulle sanzioni, sull’Ucraina, sulla Siria, spiazzando ancora una volta gli alleati europei come è da poco accaduto al G7 in Canada? Timori del genere, occorre ricordarlo, sono emersi, soprattutto in Europa, ogni volta che il capo della Casa Bianca incontrava quello del Cremlino. Ma rispetto alla lunga storia dei vertici russo-americani esistono questa volta due fondamentali differenze. La prima è racchiusa nel temperamento particolare di Trump. La seconda è che fino ad oggi i vertici tra i due Grandi (così si chiamavano, prima della Cina) si sono tenuti soltanto dopo una accurata preparazione, con accordi già scritti alla vigilia per il novanta per cento. Questa volta, invece, manca il tempo, e soprattutto Trump vuole avere le mani libere. Pare, tra le altre cose, che sia stato lui a suggerire che l’incontro avesse luogo a Helsinki. Il che ha fatto sorgere subito scontate malignità storiche: Trump sa cosa fu la Csce, sa che Helsinki fu sede di negoziati da Guerra fredda, ma che poi gli accordi del 1975 furono il trampolino di lancio per la caduta del muro di Berlino? Non conosciamo la risposta. Ma possiamo tracciare una mappa non certo delle conclusioni del vertice, bensì dei temi che vi saranno discussi, con le paure che provocano e, forse, le speranze che autorizzano. Alla ridda di voci che nei giorni scorsi rimbalzava dagli Usa all’Ucraina e a Bruxelles, la Casa Bianca ha opportunamente risposto che gli Stati Uniti non riconoscono l’annessione della Crimea attuata da Putin nel 2014. Ma potrebbe prodursi un diverso scenario. Trump non riconosce l’annessione (della quale Putin non vuole nemmeno parlare) ma in qualche modo la giustifica, sottolineando, come ha già fatto, che la Crimea è abitata da una maggioranza di russi e che un referendum dopotutto c’è stato. Il risultato sarebbe di ridurre la legittimazione politica delle sanzioni economiche, decise anche dall’Europa proprio contro l’annessione della Crimea. Un primo passo verso la revoca? Magari in cambio di concessioni russe in Siria, o nella stessa Ucraina? Della guerra civile tra Kiev e il Donbass che ha ormai fatto più di diecimila morti, Trump e Putin potrebbero discutere per accelerare il piano, da tempo sul tavolo, di schierare i caschi blu dell’Onu come forza di interposizione. Ma la vera scommessa, dicono i più maligni, è di “sedurre” Putin per farne un alleato sullo scacchiere europeo, per rafforzare l’appoggio di Trump ai “sovranisti” europei in funzione anti Ue e antitedesca. Anche la Siria, peraltro, potrebbe prestarsi a un do-ut-des. Mosca ha un buon rapporto con Israele, e come il Corriere della Sera ha anticipato sta esercitando pressioni su Teheran per ottenere che le forze iraniane nel sud della Siria si allontanino verso nord-est, rassicurando gli israeliani. Per facilitare la manovra Trump potrebbe “liberare” il nord-est, ritirare le forze e introdurre in Siria una milizia sunnita. Quanto basta per far impazzire di rabbia Teheran, ma non è proprio contro l’Iran che Trump sta producendo il massimo sforzo?
Poi c’è da sperare che i due presidenti parlino di disarmo, anzi di mantenimento del disarmo in Europa con una conferma del trattato Inf che eliminò gli euromissili. Usa e Russia si sono fino ad oggi reciprocamente accusati di violare quel trattato, facendo sorgere il sospetto che l’Inf sia ormai per entrambi, soprattutto dal punto di vista della tecnologia militare, una sgradita camicia di forza. La Finlandia padrona di casa ha già invitato i suoi illustri ospiti ad affrontare costruttivamente questo dossier. Se non accadrà, prima o poi l’Europa tornerà ad essere teatro di un ancora più fitto confronto missilistico, anche nucleare. Trump non potrà eludere il tema delle interferenze russe nella campagna elettorale Usa del 2016. Putin, che il giorno prima avrà assistito alla finale dei Mondiali di calcio, non potrà non lamentarsi per il particolare attaccamento che Trump sembra avere nei confronti delle sanzioni. Ma la verità è che i due leader si avvicinano al vertice come se fossero
prigionieri di un gioco di specchi. L’America resta la prima potenza mondiale, la Russia invece deve fare i conti con una struttura economica vulnerabile, esposta alle oscillazioni del prezzo del petrolio e del gas. E tuttavia, cosa stanno producendo le politiche del forte Trump? Stanno facendo sì che al Cremlino giungano regali insperati. Una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, non è un dono straordinario? I continui dissensi, anche all’interno della Nato, non è quel che Mosca sogna da decenni? E ora, se anche gli europei più antirussi e filoamericani (il gruppo di Visegrad e i Baltici) si sentissero traditi dall’abbraccio tra Trump e Putin? Se il supporto di Trump ai sovrano-populisti creasse in Europa un grande caos, non la riforma dell’Europa precedente? Se Putin ne approfittasse? I vertici sono importanti, e noi siamo a favore del dialogo come metodo politico. Ma talvolta sono anche pericolosi. Almeno per chi assiste da fuori.