La tecnologia regge Wall Street
Non fosse stato per un manipolo di sette grandi aziende tecnologiche, fra le quali quelle con le “zanne” – in inglese “fang”: Facebook, amazon.com, Netflix e Google (Alphabet) –, l’indice S&P500 di Wall Street avrebbe chiuso in rosso il primo semestre. Oltre alle “fang” il gruppetto comprende Apple, Microsoft e Nvidia: secondo i calcoli di Howard Silverblatt, analista senior a Standard & Poor’s, sono le loro performance ad aver permesso all’S&P500 di crescere dell’1,7% nei primi sei mesi del 2018. L’indice Dow Jones delle 30 principali società quotate a Wall Street, invece, non essendo altrettanto influenzato dal settore tecnologico ha subito un calo del 2% mentre all’opposto il Nasdaq, il mercato ricco di titoli hightech, ha guadagnato il 7,5%. Questo straordinario peso dei big tecnologici su Wall Street e l’entusiasmo degli investitori per le loro prospettive sono uno dei motivi di preoccupazione per il futuro della Borsa americana. Sui prossimi sei mesi una delle maggiori incognite è l’effetto delle guerre commerciali – vere o minacciate – sui profitti e quindi sulle quotazioni delle multinazionali Usa. È vero che in passato le tensioni sul commercio internazionale hanno avuto poco impatto sul settore tecnologico, fanno notare gli analisti di Bank of America Merrill Lynch, ma questa volta può essere diverso. Infatti il presidente Donald Trump è focalizzato in particolare nella difesa della proprietà intellettuale made in Usa e le sue minacce di impedire investimenti stranieri nell’high-tech hanno
già agitato il mercato. Inoltre il settore tecnologico Usa è oggi quello più esposto all’economia globale: il 59% del suo fatturato è realizzato all’estero mentre per l’intero paniere delle 500 aziende dell’indice S&P quella quota è ridotta al 30% circa. Nonostante questo il responsabile degli investimenti della divisione Global wealth & Investment management di Bank of America, Chris Hyzy, si dichiara ancora ottimista: «Crediamo che il Toro (fase di rialzo) a Wall Street abbia ancora spazio per correre». E spiega perché: prima di tutto perché l’economia Usa è in ottima salute, la migliore da oltre dieci anni; la fiducia degli imprenditori è ai massimi il che significa altri investimenti e crescita; la spesa dei consumatori è incentivata dai tagli alle tasse; la disoccupazione è ai minimi storici sotto il 4% e ci sono più offerte di lavoro che disoccupati, mentre i salari hanno iniziato a crescere. Il tutto, secondo Hyzy alimenterà un’ulteriore crescita dei profitti delle società quotate al ritmo del 17-18% per il resto dell’anno. Pur ammettendo l’esistenza di rischi – fra cui un possibile balzo dell’inflazione e l’incertezza politica attorno all’esito delle elezioni di medio termine in novembre (riguardanti tutta la Camera e un terzo del Senato a Washington, DC) – Hyzy conclude raccomandando di puntare ancora su Wall Street con un portafoglio azionario ben diversificato fra azioni “growth” e “value”. L’ottimo stato dell’economia a stelle e strisce invece suona come un campanello d’allarme per Liz Ann Sonders, capo delle strategie di investimento per Schwab. «Gli investitori spesso si sento- no più a loro agio a scommettere sulla Borsa quando i dati dell’economia e dei profitti sono ai massimi, e sono di umore opposto quando i dati sono pessimi – osserva Sonders –. Ma spesso le quotazioni di Borsa tendono ad anticipare il momento in cui i profitti smettono di migliorare e iniziano a peggiorare». La stratega di Schwab cita il marzo 2000 e il marzo 2009 come esempi: nel primo caso i dati erano eccellenti, con un tasso di crescita annuale dell’economia del 7,1%, la disoccupazione al 4% e i profitti dell’indice S&P500 in crescita del 23,6% sull’anno prima. Nel marzo 2009 invece l’economia era in calo dell’8,2%, la disoccupazione al 9% e i profitti crollati del 67%. Ma il marzo 2000 ha segnato l’inizio di un Orso (fase di ribasso) che ha quasi dimezzato (-49%) il valore dell’indice S&P500, mentre il marzo 2009 ha dato il via al Toro ancora in corsa adesso, che ha quasi quadruplicato il valore dell’S&P500. Meno allarmato è Andrew Sheets, capo stratega “cross-asset” di Morgan Stanley: «Sono finiti i giorni dei guadagni facili e forse siamo al top del rialzo a Wall Street, ma non necessariamente vedremo un crollo simile a quello del 2000, quando la più grande Bolla speculativa azionaria stava per scoppiare. Siamo lontani da quegli eccessi». Secondo lui ci potrà essere un ultimo rally nel terzo trimestre 2018 che porterà Wall Street ai massimi fra novembre e dicembre. Per prepararsi al declino, Sheets raccomanda di puntare più sulle Borse europee che su quella americana e privilegiare i settori dell’energia e della finanza a livello globale.