Cancro alla prostata, ecco perché così resistente
Un gruppo internazionale di ricercatori, guidati da Andrea Alimonti della Facoltà di scienze biomediche dell’Usi e dell’Istituto oncologico di ricerca (Ior) di Bellinzona, ha messo a punto una metodologia innovativa capace di contrastare l’evolversi del carcinoma prostatico. Il tumore alla prostata è il più frequente tumore negli uomini adulti. Nonostante recenti progressi terapeutici, in un’elevata percentuale di pazienti – dopo un’iniziale fase di risposta positiva alla terapia chirurgica e anti-androgenica – la malattia evolve in una forma resistente e aggressiva, diventando inevitabilmente fatale. Per decenni i ricercatori si sono trovati unanimi nell’affermare che il bersaglio da colpire per arrestarne l’evoluzione fossero gli ormoni maschili (androgeni e testosterone, considerati la benzina per la progressione del tumore) ed effettivamente in mancanza di questi le cellule prostatiche tumorali in un primo tempo muoiono. Successivamente, tuttavia, le stesse cellule attivano una contromossa e riescono a sopravvivere anche in mancanza del nutrimento essenziale. Come il tumore riuscisse a resistere alla carenza di androgeni e ripartire più forte di prima era rimasto fino a oggi un mistero. Ha scoperto il segreto Arianna Calcinotto, giovane ricercatrice parte del gruppo internazionale guidato dal professor Alimonti. Il gruppo, avvalendosi di collaborazioni nel Regno Unito e in Italia, ha rilevato come elevati livelli di interleuchina 23 (IL23) fossero presenti nel sangue e nei tumori della maggior parte dei pazienti resistenti alla terapia anti-androgenica. «Ci siamo accorti – spiega Alimonti – che il rilascio di IL23 nel tumore è dovuto a un tipo particolare di cellule del sistema immunitario (le cellule mieloidi), le quali in questo modo conferiscono resistenza alla terapia, promuovendo come una forza ‘oscura’ la sopravvivenza e la proliferazione delle cellule prostatiche tumorali». Il passo successivo sarà studiare le implicazioni della scoperta sul piano clinico, individuando l’anticorpo giusto in grado di bloccare selettivamente l’IL23. «La nostra ricerca – continua Alimonti – darà vita a un promettente studio clinico nei pazienti affetti da tumore prostatico».