La Cina preoccupa sia Europa che Usa
Segue da pagina 7 Si legge nel rapporto europeo: “Il trasferimento forzato di tecnologie in cambio dell’accesso al mercato è una richiesta sempre più frequente (da parte di Pechino, ndr) perché vengano condivise le tecnologie più avanzate”. La denuncia degli europei è anche più circostanziata: “In passato, alcune imprese straniere erano riuscite almeno a limitare in parte questi trasferimenti e dunque a non compromettere la loro competitività. Ma ciò sta diventando sempre più difficile, mentre alcune imprese cinesi risalgono la catena del valore per competere con le controparti estere”. Qui si trova la principale differenza fra l’analisi contenuta nel rapporto europeo e la denuncia della Casa Bianca. Gli europei non giustificano, ma cercano di capire le ragioni dell’aggressività della Cina nella spionaggio industriale. Che si spiegano con un panico strisciante, perché Pechino si sente stretta in una corsa contro il tempo. L’economia cinese è infatti ancora relativamente arretrata nel complesso: i robot installati sono appena 49 per 10 mila lavoratori attivi (contro 127 in Francia, 160 in Italia, 170 negli Usa e 301 in Germania). La Repubblica popolare oggi produce metà dell’acciaio del mondo, 41% delle navi, oltre l’80% dei computer e oltre il 90% dei telefoni cellulari. Ma alle sue spalle incalzano negli stessi settori altre economie dai costi ancora più bassi, come l’India e il Vietnam. Nel frattempo il declino demografico cinese, imposto dalla politica del figlio unico, inizia a mordere: solo fra il 2013 e il 2015 il Paese ha perso ben 8,6 milioni di persone in età attiva. Per salvarsi la Cina deve dunque salire di gamma tecnologica prima di diventare troppo vecchia. Il presidente Xi Jinping ha dato gli obiettivi: entro il 2020 il Paese deve produrre il 75% delle auto elettriche del mondo, il 50% dei robot industriali e dei macchinari medici più avanzati. Anche a costo di lanciare un’offensiva strisciante sui segreti industriali dell’Europa e degli Stati Uniti.