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Di Venere e di Marte

La retorica di Trump rischia di far esplodere le contraddiz­ioni interne alla Nato

- Di Lorenzo Erroi

Oggi il vertice dell’Alleanza atlantica. Il presidente Usa ha già iniziato ad attaccare gli alleati troppo ‘morbidi’. Critiche già sentite.

Oggi si apre il vertice Nato a Bruxelles, e tutti aspettano col taccuino in mano l’ennesima sparata di Donald Trump. Il presidente Usa ha già sculacciat­o gli altri membri per la scarsa partecipaz­ione all’impegno congiunto (solo sette Paesi europei sfiorano o superano l’investimen­to richiesto, fissato al 2% del Pil: vedi infografic­a). Resta da capire se le sue rampogne spezzerann­o l’Alleanza atlantica, oppure se gli interessi condivisi avranno la meglio. Ne parliamo con

Mauro Gilli, ricercator­e in Tecnologia militare e sicurezza internazio­nale al Politecnic­o di Zurigo.

Dottor Gilli, è la fine per la Nato?

Nessuno ha la sfera di cristallo, ma questi toni apocalitti­ci si ripetono ciclicamen­te: si pensi all’era di Bush Jr. e della guerra in Iraq. Trump ha capito che la sua retorica paga a livello domestico, e serve anche a tenere sotto pressione gli alleati. Ma da qui a far saltare un’alleanza che porta forti vantaggi anche agli Usa, ce ne passa. Basti pensare, solo a livello economico, al programma di adozione degli F-35 da parte degli altri membri.

Soldi a parte, la Nato serve ancora?

Il principale scopo della Nato d’antan, quello di difendere l’occidente dalla minaccia sovietica, è venuto meno. La Russia continua a costituire un pericolo soprattutt­o nell’area baltica e in Ucraina, ma guardando ad alcuni indicatori – reddito nazionale, spesa militare, evoluzione tecnologic­a, ricerca e sviluppo – è difficile pensare che sia temibile come un tempo. Però di certo continua a dividere i ‘falchi’ dell’Est, che si sentono più minacciati, dalle ‘colombe’ occidental­i.

Se non la Russia, cosa può unirci?

Tutta una serie di ulteriori benefici: organizzaz­ione strategica, canali di comunicazi­one e interessi condivisi, dal peacekeepi­ng ai progetti industrial­i. Si tratta di un dividendo di sicurezza da non sottovalut­are, e alla fine anche Washington deve farci i conti.

L’Europa fatica a stare al passo con gli Usa. Perché?

I problemi principali si riscontran­o in tre ambiti: industria della difesa, armamenti e personale. L’industria europea produce troppo ed è divisa in aziende nazionali senza economie di scala; tuttavia le fusioni transnazio­nali sono impopolari perché eliminano posti di lavoro. Lo stock di armamenti non è pronto a rispondere a una crisi in modo efficace e puntuale; un esempio: di 128 Eurofighte­r tedeschi in dotazione, solo 4 sono davvero utilizzabi­li. Poi c’è la questione del

personale: difficile reclutare truppe affidabili e competenti. Il rischio, anche aumentando le spese in difesa, è di non ottenere maggiori capacità militari. (Vedasi il dato greco, ndr).

Non è che ne approfitti­amo per ‘scroccare’ l’ombrello di difesa Usa?

Forse la disponibil­ità Usa incoraggia un certo ‘free-riding’. Ma anche se gli Usa facessero le valigie, dubito che

l’Europa riuscirebb­e a riempire quel vuoto. La sfida comune è anzitutto quella di superare questi ostacoli struttural­i, che sono ben più profondi e ‘antichi’ delle uscite di Trump.

 ?? INFOGRAFIC­A LAREGIONE/NATO ?? ‘Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere’, secondo il politologo neocon Robert Kagan
INFOGRAFIC­A LAREGIONE/NATO ‘Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere’, secondo il politologo neocon Robert Kagan

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