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Percepire l’aiuto sociale non vuol dire non essere integrato

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Essere dipendenti per un certo periodo dall’aiuto sociale non è sintomo di mancata integrazio­ne. È l’opinione del Tribunale amministra­tivo federale (Taf) che ha annullato una decisione della Segreteria di Stato della migrazione (Sem). Quest’ultima aveva rifiutato di accordare il permesso di domicilio ai figli di un ucraino-siriano. La Sem – che per esprimersi ha tenuto in consideraz­ione la situazione di tutta la famiglia – rimprovera­va all’uomo di essere stato all’aiuto sociale durante la sua formazione, sintomo, a suo dire, di integrazio­ne mediocre. Il fatto che la famiglia abbia chiesto il permesso di domicilio solo per i figli e non per i genitori non ha alcuna importanza. Il Taf ha invece visto le cose diversamen­te: per i giudici di San Gallo il padre non può essere ritenuto responsabi­le della percezione dell’aiuto sociale durante i suoi studi durati quattro anni. Al contrario: questa formazione gli ha permesso di trovare un lavoro come ingegnere e di provvedere così ai bisogni finanziari della famiglia. I giudici hanno anche ritenuto che la somma versata all’uomo – 200mila franchi – non possa essere giudicata come “importante”. L’uomo, inoltre, si è detto disposto a rimborsare i soldi ricevuti dall’aiuto sociale malgrado non sia tenuto a farlo. Dal suo arrivo in Svizzera una quindicina di anni fa, la famiglia si è sforzata di integrarsi, ha anche sottolinea­to il Taf. Malgrado la sua richiesta d’asilo sia stata respinta, può comunque restare in Svizzera grazie a un permesso di dimora per persone ammesse provvisori­amente. ATS

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KEYSTONE Il Taf smentisce la Sem sulla concession­e dei permessi di soggiorno

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