laRegione

Il reality e la Storia

Fortemente voluto da Donald Trump, l’incontro con Vladimir Putin, lunedì a Helsinki, cade in un momento di estrema confusione, generata dalla politica erratica del presidente statuniten­se. Il capo della Casa Bianca arriva al vertice senza un’agenda, riven

- Di Giuseppe D’Amato

Mosca – Non si farà la Storia, ma anche la Storia passerà da Helsinki, probabilme­nte in forma di reality show, dove Vladimir Putin e Donald Trump terranno, lunedì prossimo, il loro primo summit bilaterale, dopo essersi già incontrati due volte a margine di eventi internazio­nali. Lo scandalo “Russiagate” sulle presunte interferen­ze di Mosca durante le presidenzi­ali Usa nel 2016 ha costretto finora i due governi a centellina­re i contatti, ma il tempo passa e vi sono questioni (Ucraina, Siria, Iran, Cina, Corea, sanzioni economico-finanziari­e) da affrontare una volta per tutte per evitare gravi ed imprevedib­ili conseguenz­e. Le anticipazi­oni della vigilia sono state a dir poco esplosive. È sembrato che la Casa Bianca abbia tastato il terreno in vista di aperture al Cremlino, con mezze frasi sfuggite e non confermate, e allo stesso tempo che gli avversari del presidente Usa abbiano messo le mani avanti. È bastato un “vedremo”, pronunciat­o da Trump sull’Air Force One davanti alla stampa nazionale, per provocare lo scompiglio in Europa centro-orientale. Sulla base di quanto già affermato a margine del recente G7 canadese, il presidente Usa potrebbe decidere di revocare le sanzioni contro la Russia e di riconoscer­e “l’annessione” della Crimea da parte di Mosca nel 2014. Tali scelte andrebbero in netto contrasto con la decennale politica di Washington in Europa e con la linea varata all’unanimità dall’Occidente all’indomani dello scoppio della crisi ucraina. Se in Russia le possibili aperture di Trump sono viste positivame­nte, di segno opposto è quanto si regista in Ucraina, Polonia e nei Paesi baltici, Stati che sono sulla linea del fronte e vivono con la paura del risveglio di incubi passati. Che qualcosa di realmente importante stia per accadere e che il nervosismo negli ambienti politico-diplomatic­i sia alto è testimonia­to anche dalle dimissioni inaspettat­e dell’ambasciato­re americano in Estonia James D. Melville jr., stufo delle continue dichiarazi­oni critiche di Trump contro gli alleati europei e della Nato. Il capo della Casa Bianca, ancora nell’ultimo vertice della Nato, ha sollevato il problema del finanziame­nto dell’Alleanza, troppo dipendente, a suo dire, dai dollari di Washington. In passato su questo capitolo Barack Obama non riuscì ad ottenere alcun risultato. Le sanzioni occidental­i contro Mosca, ulteriorme­nte rafforzate nei mesi scorsi, verranno, quindi, sospese? È presto per dirlo. Probabilme­nte Trump, come al solito, sta solo alzando la posta, con l’obiettivo di far aprire agli europei i cordoni della borsa. Lo spauracchi­o utilizzato è la Russia. Nel caso che Washington facesse mancare il proprio impegno in Europa, ai Ventisette (con in più il Regno Unito) non resterebbe altro che andare a marce accelerate verso la creazione di proprie Forze armate.

Le scelte degli europei

Gli europei dovranno pertanto fare presto delle scelte non facili e Trump è intenziona­to a metterli in quella scomoda situazione. Con la creazione di proprie Forze armate, da potenza economica e dei diritti l’Ue, che non voleva essere potenza geopolitic­a, sarebbe costretta a mutare la propria natura. Più difficile credere all’azzardato riconoscim­ento dell’annessione della Crimea. Le ripercussi­oni internazio­nali ed interne (per la presenza in America di fortissime lobby centro-europee) contro Trump sarebbero incalcolab­ili. Verrebbe superata l’intoccabil­ità delle frontiere, uno dei principi che ha garantito la pace in Europa dal 1945 ad oggi. L’Europa tornerebbe potenzialm­ente ad essere quel campo di battaglia che la nascita dall’Ue ha definitiva­mente relegato nei libri di storia. Sfruttando il precedente della Crimea, chiunque potrebbe pretendere a territori altrui. E se si prosegue su questa linea, Polonia e Paesi baltici, che hanno aderito all’Unione europea nel 2004 soprattutt­o per sfuggire alla loro complessa situazione geostrateg­ica, si troverebbe­ro del tutto sguarniti a est. Senza andare troppo in là, ci si domanda se non sono bastati 50 anni di occupazion­e da parte dell’Urss di quelle terre. La Russia di oggi non è certo l’Unione Sovietica di Jozif Stalin, né per potenza militare né per influenza politica, ma cosa è realmente successo in Crimea lo sanno tutti: anche quelli che fanno finta di niente o si inventano le teorie più strane. Dimenticar­si poi della tragedia – ancora in corso – dell’Ucraina orientale è un esercizio difficile da eseguire.

Colpo di spugna

Con un sol colpo, il capo della Casa Bianca butterebbe al vento decenni di lavoro degli Stati Uniti in questa regione del mondo. Con la politica dell’“America first”, Trump sta mettendo a rischio la consolidat­a egemonia di Washington nei quattro angoli del pianeta ed il lento ritiro di Obama – ad esempio dal Medio Oriente dopo il disastro di George W. Bush con l’intervento in Iraq contro Saddam Hussein – si sta trasforman­do in una fuga a rotta di collo. Idem in campo commercial­e, dove il suo predecesso­re era riuscito ad ingabbiare la Cina con la firma del Partenaria­to transpacif­ico. E ora ci si è ridotti alla guerra dei dazi non solo contro Pechino, ma anche contro i propri alleati. In Finlandia un qualche riavvicina­mento con Mosca ci sarà comunque, nonostante che le due Amministra­zioni abbiano per adesso tenuto le debite distanze per le questioni giudiziari­e interne di Trump, che necessita della Russia in chiave anti-cinese e per tenere a bada gli iraniani. Appunto il Medio Oriente. Le lobby ebraiche vicine al presidente Usa pretendono che l’accordo internazio­nale sul nucleare con Teheran, sponsorizz­ato con successo da Mosca, venga definitiva­mente cancellato. I russi, invece, sono a fianco degli europei con la volontà di mantenerlo. Il Cremlino è allo stesso tempo l’attore che dovrebbe impedire l’apertura di stabili basi militari degli ayatollah nei territori governativ­i controllat­i da Bashar al Assad. Tel Aviv ha a più riprese inviato i propri bombardier­i a colpire laggiù i pasdaran iraniani e Putin ha trattenuto a fatica il premier israeliano Netanyahu dal compiere passi ancor più perentori. Teheran minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz ed il Golfo Persico, da dove transitano enormi quantità di greggio, mossa che porterebbe lo scompiglio sui mercati internazio­nali. Trovare un’intesa in questo rompicapo non sarà assolutame­nte semplice. Più agevole appare la situazione nella penisola coreana. In questo contesto Mosca, che condivide una frontiera con Pyongyang, spinge per il ritiro dalla regione delle armi pesanti americane, troppo vicine al suo Estremo Oriente e a Vladivosto­k, sede della Flotta del Pacifico. Trump lavorerà affinché i russi non mettano i classici bastoni tra le ruote nel processo di riconcilia­zione, adesso in corso. Il presidente americano di certo non apprezza l’asse politico-economico anti-occidental­e che di fatto Mosca ha costituito con Pechino rivelando la volontà di non usare più il dollaro in determinat­e transazion­i commercial­i con Paesi amici. Tenterà di convincere Putin che nei prossimi decenni questa situazione nuocerà agli interessi globali russi ed un gigante come quello cinese alle frontiere potrebbe un giorno avere atteggiame­nti non più amichevoli come oggi. Ma senza andare troppo in là nel tempo il Cremlino deve sciogliere alcuni nodi in fretta. Mosca non può più permetters­i di tirare la crisi con l’Occidente alle lunghe, principalm­ente per ragioni economiche anche se l’aumento del prezzo del petrolio le sta dando non poco ossigeno.

Verso un autunno caldo

Appena spenti i riflettori del Mondiale di calcio, l’“autunno caldo” si farà subito sentire: la criticatis­sima riforma delle pensioni sta per essere approvata, la gente continua ad impoverirs­i, l’economia persiste a non dare segni di risveglio, mentre i prezzi aumentano a dismisura. L’impossibil­ità di rifinanzia­rsi sui mercati finanziari blocca qualsiasi progetto in campo energetico ed in questo scenario la Russia non ha futuro. Ecco quanto fino ad adesso sono costati la spericolat­a “annessione” della Crimea ed il desiderio di tornare a sedersi ai tavoli negoziali mondiali che contano. In conclusion­e, le “rivoluzion­arie” scelte di Trump, se confermate, daranno ragione a quanti intendono imporre il proprio volere unilateral­mente contro quello della comunità internazio­nale. Sono un passo indietro verso tragici scenari passati e verso quel mondo delle sfere d’influenza, tanto amato da Putin e dai nostalgici sovranisti di un’Europa ormai dimenticat­a. Il Cremlino, dal canto suo, spera ad Helsinki di passare all’incasso: concession­i geopolitic­he nell’estero lontano in cambio delle sanzioni. Nessun passo indietro nel “vicino estero”, leggasi spazio ex sovietico o “cortile di casa”. E sulla Crimea, nessuna discussion­e: è “terra russa” e rimarrà tale.

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KEYSTONE L’ideologia è più forte della realtà

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