La Turchia li lascia andare
Sarà revocato a giorni il divieto di uscire dal Paese imposto a sette binazionali
L’annuncio è stato fatto ieri dall’ambasciatore turco. Decisione effettiva mercoledì, in concomitanza con la fine dello stato d’emergenza.
Riacquisteranno libertà di movimento le sette persone con doppio passaporto elvetico e turco, attualmente trattenute in Turchia. È quanto ha indicato ieri mattina l’ambasciatore turco a Berna, Ilhan Saygili. La ragione: la fine imminente dello stato di emergenza. Ai sette le autorità turche avevano imposto il divieto di lasciare il Paese – e alcuni turchi con domicilio in Svizzera erano addirittura finiti in carcere – perché ritenuti presunti sostenitori del predicatore Fethullah Gülen o perché legati a organizzazioni fuorilegge, curde in particolare, secondo rivelazioni giornalistiche, poi confermate dal Dipartimento federale degli affari esteri. Il Dfae non aveva però fornito ragguagli precisi sui singoli casi, facendo valere la protezione dei dati e della personalità. Il ‘Tages-Anzeiger’ e altri giornali del gruppo Tamedia hanno scritto in particolare di una donna curda residente nella regione di Basilea, arrestata nel settembre 2017 all’aeroporto Atatürk di Istanbul quando era al quinto mese di gravidanza. Nel frattempo è divenuta madre di una bambina ed è a piede libero, ma non può tornare in Svizzera. La fine delle misure restrittive pronunciate contro i sette sarà effettiva mercoledì 18 luglio, data della prevista revoca dello stato di emergenza in Turchia, dichiarato dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016 contro il presidente Recep Tayyip Erdogan. Ieri l’ambasciatore Saygili ha spiegato che i passaporti dei sette binazionali erano stati annullati nell’ambito delle misure amministrative pronunciate dopo il tentativo di colpo di stato e volte, secondo le autorità turche, a combattere il terrorismo.
Due anni di misure d’eccezione
Il presidente turco Erdogan ha attribuito la responsabilità del tentato colpo di Stato all’oggi 77enne Fethullah Gülen. Gülen era emigrato nel 1999 negli Stati Uniti ed è stato uno stretto alleato di Erdogan fino al 2013, quando quest’ultimo lo rimproverò di essere dietro le accuse di corruzione avanzate contro uomini del suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) e di voler costruire strutture parallele allo Stato turco per spodestarlo. Il 77enne ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nel tentato putsch di due anni fa. In due anni di misure d’eccezione, secondo le stime dell’Onu almeno 160mila persone sono state arrestate e 152mila epurate dalle pubbliche amministrazioni. Il fallito golpe aveva provocato la morte di 200 persone, 300 secondo altre fonti, perlopiù civili.