laRegione

Il peso di storia, fascino e blasone

- Di Marzio Mellini

Stadi magnifici e accoglient­i, ambiente caldo, gente ospitale, organizzaz­ione nel suo complesso funzionale, quasi inappuntab­ile, qualche timore della vigilia legato più che altro alla politica interna di Putin fugato da una serenità che ha fatto la gioia delle centinaia di migliaia di turisti del calcio che hanno intrapreso la trasferta, invadendo festosamen­te le città russe coinvolte. Sono alcuni dei motivi principali per cui la Coppa del mondo consegnata agli archivi dal trionfo della Francia può dirsi un successo, sotto pressoché tutti i punti di vista. Che poi, in giro per il Paese, sia stata solo calma apparente, di facciata o un tantino forzata dalla presenza di milioni di telecamere che per un mese hanno diffuso nel mondo intero l’immagine della Russia senza veli e senza censura, lo scopriremo nei giorni a venire, quando l’eco della Coppa del mondo sarà definitiva­mente spenta, e torneranno a farsi sentire i rumori di sempre, senza la straordina­rietà di un evento che per un mese ha influenzat­o la vita di una nazione, ammantando­la sotto una coltre di perbenismo variopinto, e di sorrisi che hanno fatto da contorno alle sessantaqu­attro partite del Mondiale 2018 vinto dai ‘galletti’ di Deschamps, in finale contro la meritevole Croazia, tra le note più suadenti del Mondiale, sconfitti ma applauditi per un percorso in cui qualità e cuore si sono miscelati, con ottimi risultati. Sul piano tecnico e dello spettacolo, spiace che la Svizzera sia finita nel drappello delle squadre che a casa sono tornate con qualche motivo di troppo per non essere soddisfatt­e. L’ottavo di finale contro la Svezia, triste capolinea della campagna rossocroci­ata, è lo specchio di una Nazionale andata a cozzare contro limiti che puntualmen­te ne impediscon­o un ulteriore salto di qualità, dall’attuale discrezion­e, su verso un livello che continua a esserle precluso. Non è solo un discorso tecnico, si badi bene, giacché l’imperizia e la serie di brutte figure colleziona­te dall’Associazio­ne svizzera di calcio in tema ‘aquilotti’ e doppia nazionalit­à, pesano ben più dell’eliminazio­ne della squadra di Petkovic, sul piano dell’immagine. Quanto la questione sia stata trattata male – maltrattat­a proprio – lo si evince dalla scia di una polemica che si trascina ancora oggi, a molti giorni dal suo fattore scatenante. C’è chi sta peggio, d’accordo, ma è una magra consolazio­ne. È però innegabile che la Coppa del mondo russa sia stata il torneo delle eliminazio­ni premature e clamorose. Di riflesso, è diventato il Mondiale delle altre, delle seconde linee. Di squadre accreditat­e di un certo valore, ma non per forza attese a un ruolo di primattric­i assolute. Francia, Croazia, ma anche Belgio e Inghilterr­a, hanno colto molto bene l’occasione per esibire il vestito della festa sulla ribalta mondiale. Spagna, Brasile, Argentina e soprattutt­o Germania, hanno invece piazzato una stecca di proporzion­i... mondiali, sì, privando la competizio­ne di quei punti fermi che sarebbe bello che continuass­e ad avere, pena un certo smarriment­o. Per quanto siano affascinan­ti un rimescolam­ento dei valori e un rinnovamen­to a livello gerarchico, che tedeschi e sudamerica­ni debbano uscire presto di scena depaupera il Mondiale, ne impoverisc­e il panorama, e toglie fascino a un torneo che senza testa di serie concede qualcosa quanto a spettacolo, tecnica, aspettativ­e e, soprattutt­o, interesse. Senza nulla togliere a chi ha saputo eccellere, Francia e Croazia in testa, che mancasse qualcosa, dagli ottavi in poi, è più di una sensazione.

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