Liberté, Égalité, Mbappé
Il mondo ai piedi della Francia, campione per la seconda volta Folla in delirio a Parigi e in tutto il Paese per il 4-2 sulla Croazia che ha regalato ai transalpini il Mondiale 2018
Davvero? Vi aspettavate una finale diversa? Certo, il calcio è e rimane imprevedibile, ma l’ultimo atto della Coppa del mondo 2018 non lo è stato. Forse negli episodi, ma meno nel risultato e per nulla nel suo svolgimento. È vero, è facile parlare dopo – anche se nella nostra analisi con Davide Morandi pubblicata nell’edizione di sabato avevamo pronosticato proprio Pogba e compagni vincenti 4-2 –, ma la partita dello stadio Luzhniki è stata un sunto quasi perfetto del Mondiale disputato dalle sue due migliori interpreti e per certi versi pure della Coppa del mondo russa in generale. Da una parte, una Francia arrivata al gran ballo del calcio globale ancora troppo scottata dalla bruciante sconfitta nella finale dell’Europeo casalingo di due anni prima (1-0 nei supplementari contro il Portogallo) per permettersi chissà quali proclami, ma forte di un gruppo giovane e dal potenziale altissimo – fisico e tecnico – che proprio nella deludente rassegna continentale ha trovato le risorse (leggasi esperienza) per crescere. Fondamentale in questo processo è stato Didier Deschamps, coraggioso e deciso nel difendere le sue scelte non sempre popolari tanto nelle convocazioni (ad esempio l’esclusione di Benzema) quanto nel modo di far giocare la sua squadra. O meglio, di farla vincere. Già, perché se nel mese di calcio appena trascorso sono state altre le Nazionali a entusiasmare per il loro gioco (Belgio su tutte, ma pure la stessa Croazia), quella transalpina ha dato prova di una solidità fuori dal comune. Tattica, ma pure mentale e l’impressione è che ancora prima che sul campo questa Coppa del mondo la Francia l’abbia vinta nella testa. E quello che è sembrato un atteggiamento difensivista (in parte lo è stato) e poco coraggioso, semplicemente è stato il modo giusto di far giocare (e vincere, ribadiamo) una squadra con queste caratteristiche: fortissima fisicamente, letale nelle ripartenze e sulle palle ferme. Sarebbe stato stupido cambiare proprio all’ultimo atto e infatti così non è stato. Al Luzhniki di Mosca i ragazzi di “DD” – tra
l’altro dopo Zagallo e Beckenbauer il terzo a laurearsi campione del mondo da allenatore dopo averlo già fatto da giocatore (nel 1998) – hanno lasciato sfogare i propri avversari per colpire con l’efficacia e il cinismo dimostrati lungo tutto l’arco del torneo nei momenti cruciali: al 16’ è stato sì Mandzukic a deviare di testa alle spalle del suo portiere il pallone dell’1-0, ma lo ha fatto sulla velenosissima punizione di Griezmann che probabilmente Pogba avrebbe comunque spedito
in porta. Poco prima della pausa lo stesso “Grizou” ha spento il fuoco croato acceso dallo splendido pareggio di Perisic trasformando dal dischetto – rigore assegnato anche grazie al Var, volenti o nolenti altro protagonista di questo Mondiale che non poteva mancare alla festa – con grande tranquillità, manco fosse sul campetto davanti a casa. La stessa freddezza che nella ripresa hanno dimostrato Pogba e Mbappé nel colpire e rispettivamente affondare una Croazia a
quel punto ormai sulle ginocchia, il cui furore agonistico (o se preferite il cuore) aveva per circa un’ora di gioco fatto dimenticare i 90 minuti in più nelle gambe (tre supplementari consecutivi) rispetto agli avversari, ma che poi nemmeno il regalo di un Lloris altrimenti stratosferico in tutto il torneo e il sussulto di speranza susseguente hanno potuto compensare. Già, pure la squadra di Dalic è stata fedele a se stessa nella sua settima partita del Mondiale: ha provato a giocare a calcio – il suo calcio, forse il più tecnico ammirato in Russia e non a caso Luka Modric è stato premiato quale miglior giocatore – dal primo all’ultimo secondo, accompagnandolo alla solita, imprescindibile generosità, grinta, tenacia, determinazione e chi più ne ha più ne metta. Sì, quel cuore che ha fatto la differenza, perché senza ci si ferma ben prima (ad esempio agli ottavi di finale...). Non è bastato per alzare il trofeo, ma per rendere fiero un popolo, quello sì.