laRegione

Donald, il picconator­e

- Di Massimo Gaggi

L’antipatia di Donald Trump per la Germania è di vecchia data: ha cominciato a inveire contro l’invasione delle auto di lusso tedesche — le Mercedes, Bmw e Audi che gli sfrecciava­no sulla Fifth Avenue, davanti alla sua torre — ben prima di candidarsi alla Casa Bianca. Ma l’attacco a testa bassa contro il governo di Angela Merkel, lanciato dal presidente Usa al vertice Nato di Bruxelles, non è stato di certo uno sfogo umorale: Trump colpisce la Germania perché, da uomo d’affari, non tollera il cronico sbilancio degli scambi commercial­i tra i due Paesi. E anche perché vuole indebolire la Merkel, principale ostacolo alla diffusione del sovranismo populista in Europa e, dal suo punto di vista, troppo aperta sull’immigrazio­ne. Colpire la Germania per mettere sulla difensiva un Paese con velleità di leadership che, agli occhi di The Donald, è diventato ricco con i soldi americani: quelli spesi nel Dopoguerra per la sua ricostruzi­one (Piano Marshall), quelli spesi per 70 anni dal Pentagono per difendere la Germania da una possibile aggression­e del blocco sovietico prima, e poi da una Russia comunque potenza nucleare aggressiva e con sogni imperiali. Ma l’obiettivo è anche quello di colpire la Germania per indebolire e dividere l’Europa. Lasciando a Trump le mani molto più libere nel rapporto con Putin (difficile accusarlo di essere accondisce­ndente col Cremlino, dopo che il presidente Usa ha accusato la Germania di essere schiava di Mosca dalla quale dipende per le forniture di gas). Ma, oltre che per ridefinire i rapporti con Mosca e con l’Alleanza Atlantica, Trump è venuto in Europa anche per far avanzare la sua agenda populista: apprezzame­nto per i leader sovranisti, per il nuovo governo italiano e per i governi forti o addirittur­a autoritari dell’Est europeo, dalla Polonia all’Ungheria di Orbán. Poi, calpestand­o di nuovo ogni regola diplomatic­a è andato in visita dall’alleato britannico con parole pesanti verso il primo ministro Theresa May («non so se sta rispettand­o la volontà popolare sulla Brexit, rischia di non avere buoni rapporti nemmeno con gli Usa, una volta uscita dall’Ue»). Affetto e amicizia, invece, per Boris Johnson, uscito dal governo. Una volta seduto al vertice con la May ha poi fatto dietrofron­t parlando di area di libero scambio tra Stati Uniti e Gran Bretagna.

Le mosse

Una strategia di successo, quella di Trump, anche perché ha trovato un terreno favorevole: gli è bastato mettere il dito nelle piaghe di un’Europa già divisa e “scomunicar­e” i leader che cercano di restaurare lo spirito delle origini. Lo stesso fatto che oggi ragioniamo su nazioni più vicine a Washington e Paesi usciti malconci dal confronto col rude presidente americano indica che Trump sta “picconando” con successo non solo alcuni governi nazionali, ma anche le istituzion­i multilater­ali: la Ue e la stessa Nato, il cui ruolo è stato formalment­e confermato in un comunicato ufficiale, dopo che Trump aveva addirittur­a minacciato l’uscita unilateral­e degli Stati Uniti dall’Alleanza. E così, dopo l’incontro con Putin ad Helsinki, Trump se ne torna in America lasciandos­i alle spalle lavagne nelle quali la lista dei “cattivi” è sicurament­e aperta dalla Germania della quale non sopporta né la forza economica né la leadership fino al punto di dire che «a volte gli alleati sono peggio dei nemici». È lo scontro più duro perché c’è in ballo molto: il “muro” della Merkel contro il sovranismo, ma anche la volontà Usa di esportare di più. L’attacco sul gas russo è legato, oltre che al desiderio di contenere Mosca, alla volontà di vendere il suo shale gas estratto in abbondanza grazie al fracking. Mentre dietro alla richiesta di aumento delle spese militari c’è la volontà di vendere più armi nella Ue. La Germania dovrà decidere come sostituire i suoi Tornado: potrebbe ricorrere a una nuova versione dell’Eurofighte­r, programma europeo al quale partecipa, ma la Luftwaffe preferisce un caccia americano. Sarà un’altra battaglia durissima. È dura anche per la May, attaccata da Trump che vede la possibilit­à di sostituire il suo governo accomodant­e con Bruxelles con una coalizione più radicale e populista. In mezzo al guado il francese Macron. Appena eletto piaceva a Trump, andato l’anno scorso a Parigi a celebrare con lui la festa della Bastiglia. Poi le nuvole per le divisioni sulle politiche ambientali e per i dazi, fino allo scontro al G7 in Canada, lasciato in anticipo anche per non partecipar­e a una sessione guidata da Macron. Tregua alla Nato: Macron piace al presidente Usa perché eletto su una piattaform­a anti-establishm­ent, ma lo irrita la sua fedeltà all’asse franco-tedesco. Cielo sereno con qualche nuvola per l’Italia: Trump elogia Conte capo del governo di una coalizione populista, duro sugli immigrati. Ma chiede anche a noi di pagare di più per la Nato (ricevendo un rifiuto) e ci minaccia coi dazi. Cielo terso, infine, nell’Est europeo: dalla Polonia che, sensibile fin dall’inizio alla nuova politica energetica Usa, ha già stretto un accordo ventennale per la fornitura di gas americano al posto di quello russo, alla Croazia che ha deciso di creare nell’isola di Krk un terminale di rigassific­azione per le navi che porteranno gas liquido da Oltreocean­o. Una decisione che ha avuto il plauso del Dipartimen­to di Stato. L’Est, poi, spende di più per la Nato. Insieme a Grecia e Uk, Estonia e Lettonia sono gli unici altri due Paesi che destinano più del 2% del Pil a spese militari: ma Polonia, Romania e Lituania sono molto vicine a questo traguardo. Basterà, in caso di aggression­e, per essere difesi da soldati e missili di Trump?

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KEYSTONE Ne ha una per tutti e tiene banco

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