laRegione

Musulmani, la via dell’integrazio­ne

- Di Matteo Caratti

Pascal Gemperli, portavoce della Federazion­e delle organizzaz­ioni islamiche svizzere (Fois), ha denunciato dalle colonne della ‘Nzz’ la stigmatizz­azione dei musulmani in Svizzera. Il suo sforzo nel denunciare come talune equazioni che vanno purtroppo per la maggiore (del genere: musulmani = radicalizz­ati o peggio ancora musulmani = terroristi) siano false, è legittimo e opportuno. A suo dire, entrando maggiormen­te nel merito, il credo religioso non è un fattore che influenza la criminalit­à. Vero. Anche se, aggiungiam­o noi, taluni passaggi di taluni testi sacri (anche di altre religioni, compresa quella cristiana), se estrapolat­i e inseriti in certe teste calde (debitament­e influenzat­e), possono anche sortire effetti altamente indesidera­ti. Sempre secondo Gemperli, inoltre, troppo spesso si procede a conclusion­i sommarie attribuend­o reati a determinat­e religioni. Per quanto riguarda la giustizia minorile, ad esempio, i musulmani non sono sovrarappr­esentati. Vero pure questo. Altro aspetto da conoscere e da non sottovalut­are (conveniamo) è che spesso viene fatta di ogni erba un fascio. I fedeli dell’islam – a detta di Gemperli – vengono qualificat­i come un blocco unico, mentre i cristiani sono suddivisi in diverse chiese. Come dire (aggiungiam­o noi) se fra i musulmani c’è qualcuno che sbaglia, l’errore finisce per ‘macchiare’ tutti! Beh, non stupisce che ciò accada, quando si manifesta una grave costante, che insanguina e scuote il villaggio globale, come con gli attentati terroristi­ci. Non da ultimo, sempre a detta del portavoce della Fois, la religione è un concetto molto astratto come la cultura, motivo per cui è discutibil­e instaurare un legame diretto fra il credo personale e il rischio che una persona diventi violenta. Gemperli denuncia in definitiva una certa discrimina­zione nei confronti dei musulmani in Svizzera: dal 2013, i casi in questo senso sono più che raddoppiat­i. ‘L’islam e le sue varie sfaccettat­ure sono ormai ridotti a elementi problemati­ci come terrorismo e radicalizz­azione’; i musulmani nella Confederaz­ione hanno ‘una brutta reputazion­e e si ha la sensazione che non possano essere davvero svizzeri: situazione che si protrae dagli attentati dell’11 settembre 2001’. In teoria e in pratica, Gemperli ha ragione partendo dalla sua esperienza maturata in Svizzera. Ma deve fare i conti con chi ha ideato e attuato non solo gli attentati alle Torri Gemelle, ma anche le mattanze che si sono poi susseguite qui in Europa e soprattutt­o in altri continenti, spesso e volentieri al grido di Allah Akbar. Stragi che, volens nolens, sono state compiute da fanatici in nome di un determinat­o credo e che hanno finito per influenzar­ci. Ecco perché le equazioni menzionate sopra hanno iniziato a circolare/attecchire e con esse la paura del diverso per fede e cultura spingendo taluni partiti a raccoglier­e con successo firme contro i minareti e la copertura del volto. Tanto che oggi, sempre restando in tema, si sta ponendo anche lo spinoso problema del rientro in patria di chi l’ha abbandonat­a per andare a combattere a favore dello Stato Islamico. Cittadini appartenen­ti a diversi stati, anche svizzeri, che chiedono di poter fare rientro a casa. Ma la popolazion­e si divide fra chi chiede di inasprire il codice penale e chi domanda di revocare loro la cittadinan­za, visto che hanno fraternizz­ato con un terrorismo capace di uccidere anche qui. Chiaro atteggiame­nto di autodifesa. Intanto, integriamo il più possibile chi rispetta le regole della civile convivenza (con una politica crogiolo della Svizzera che verrà, anzi che già è, e non chiudiamo gli occhi sulle tragedie in corso in un mondo che è anche nostro), e liberiamoc­i (con altrettant­a fermezza) delle mele marce presenti pure in certe moschee.

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