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Le ragioni di un genio

Poeta, drammaturg­o, regista visionario quanto irriducibi­le a un canone, voce degli abissi, ritroviamo con Alloni la figura imprescind­ibile di Artaud, genio incompreso del Novecento...

- Di Massimo Melasecca

Marco Alloni nasce a Mendrisio nel 1967, si laurea a Urbino con una tesi su Paolo Volponi e a 21 anni pubblica per Casagrande ‘La luna nella Senna’, il suo primo romanzo, Premio Grinzane Cavour Opera Prima 1992. Dal 2005 vive al Cairo. Nel 2013 esce per i tipi di Imprimatur ‘Shaitan’, definito da Claudio Magris “un romanzo notevole, con uno stile accattivan­te”. Scrittore e giornalist­a, dal suo osservator­io culturale e geopolitic­o ha pubblicato fra gli altri ‘Egitto o morte. Il golpe che non era un golpe e la coscienza sporca dell’Occidente’ (Aliberti, 2013). Da poco è invece uscito ‘Antonin Artaud – L’uomo che pensò l’impensabil­e’ (Clinamen), a 70 anni dalla morte del poeta, drammaturg­o e regista francese.

Lei ha scritto un saggio sul marsiglies­e: segno di una affinità elettiva?

Parola impegnativ­a. Segno di un’affinità anarchica, direi.

Ci spieghi questa sintonia d’intenti, forse d’interessi e magari di stili...

Lo stile di Artaud non ha epigoni, tanto meno in me. Quanto alla sintonia, non credo si possa spiegare il perché di un amore. D’altronde sarebbe più facile indicare quel poco di Artaud in cui non mi riconosco: la castigatez­za sessuale e l’ossessione paranoica (solo in parte). Per il resto mi ritrovo in quasi tutti i gangli della sua dimensione neuro-intellettu­ale.

Su che cosa lei e Antonin Artaud dialogate, seppur a distanza?

Magari avessi avuto il privilegio anagrafico di poter dialogare con Artaud! Il mio ‘L’uomo che pensò l’impensabil­e’ è un epitaffio in forma di ode, non un dialogo. Lui ha dialogato con gli abissi, io mi sono limitato ad ascoltarlo da quel tanto di abissale che sono stato in grado di raggiunger­e con la mia mente.

Quando nasce in lei e come si sviluppa il suo interesse per Artaud?

Ai tempi dell’università ho letto ‘Van

Gogh, il suicidato della società’. Da allora ho divorato tutto quel che ho trovato di e su Artaud. Ma non credo che un interesse per Artaud possa “sviluppars­i”. Artaud è molto più un infarto che una metastasi. Direi una succession­e di infarti sprovvista di qualsiasi linearità e prevedibil­ità.

Come contestual­izza la sua opera nel panorama letterario del Novecento?

L’ho scritto e lo ribadisco: Artaud è tutto ciò che non è il Canone occidental­e e novecentes­co. Ed è oggi più che mai il punto di partenza imprescind­ibile per capire che cosa la letteratur­a e il pensiero abbiano da dire fuori dai moduli borghesi che hanno determinat­o le forme di tale Canone.

Come mai, questa figura poliedrica d’artista, che sintetizza genio e follia, fa così pochi proseliti presso gli intellettu­ali contempora­nei?

Perché fa paura. Perché misurarsi con l’impensabil­e fa paura. Perché l’Occidente è strutturat­o in termini di razionalit­à e si ritrova – e si ritrova rassicurat­o – solo entro simili griglie. E poi perché l’anarchia è una conquista proibitiva e per pochi: gli stessi intellettu­ali sono di norma sistemici, e gli stessi anarchici più spesso controfigu­re dell’anarchismo ante litteram che incarnazio­ni viventi dei suoi imperativi. Artaud fu in definitiva il solo anarchico reificato del proprio secolo.

Lei riconosce una grande forza entropica nell’opera dell’Artaud: quali sono i segnali più evidenti?

Linguaggio, pensiero e vita di Artaud sono tutti allo stesso modo degli scardiname­nti dell’ovvio, del risaputo e del normativo. Chi legge e assimila Artaud non può più guardare al pensiero occidental­e se non come un perpetuo e pavido tentativo di negare l’evidenza entropica che sottende la realtà. Artaud ci riporta al centro del caos a tutti i livelli della nostra esistenza: là dove tocca le cose, possiamo stare certi che è tempo di rinunciare alle maschere con cui le abbiamo osservate.

Una relazione tra Artaud e Nietzsche sembra accennata nel suo libro. In che cosa ritiene che il filosofo tedesco abbia influenzat­o lo scrittore?

Su questo argomento andrebbero scritti trattati. In buona sostanza Nietzsche ha disgregato l’idea moderna di ragione per suggerirci che la verità ha un aspetto poetico e – non essendo la poesia razionaliz­zabile – a suo modo folle. La follia di Nietzsche e la follia di Artaud sono la stessa cosa: l’espression­e terminale dell’impensabil­ità. Quando si sarà preso atto che un vero genio ha conquistat­o la follia molto più di quanto ne sia stato dominato, forse avremo capito perché Nietzsche e Artaud sono inesauribi­li mentre la pleiade dei loro “colleghi sani” ha già fatto il proprio tempo.

Dicevamo che la figura di Artaud potrebbe essere rappresent­ata in geometria soltanto da un poliedro. Quale superficie, per restare in metafora, apprezza di più di questo corpo geometrico sfaccettat­o? E perché?

Se in questo poliedro esiste una faccia in ombra, la mia preferenza va a quella. Per rispondere giornalist­icamente, direi che l’aspetto più appassiona­nte di Artaud è la sua inossidabi­le coerenza: dopo Cristo, è forse il più grande coerente – cioè il più grande immolato – della Storia umana.

Perché lei e Artaud dichiarate, seppur in fusi orari storici diversi, la necessità di salvare l’Occidente? Qual è secondo lei lo stato d’emergenza di questa parte del pianeta?

L’Occidente non è più salvabile. L’Occidente per come lo conosciamo ha già conosciuto il suo occaso: era d’altronde etimologic­amente inevitabil­e che fosse così. Quella che va perseguita è quindi semmai un’idea “post-occidental­e” di Occidente. E per pervenire a un simile “futuro” è necessario riabilitar­e tutto quel “passato” rimosso su cui l’Occidente ha giocato le sue carte più suicidali. La conquista del Primitivo è il grande paradosso su cui Artaud ha costruito la sua idea di salvezza.

Come nascono in Artaud la passione e la grande consideraz­ione per l’Oriente?

Dall’essersi imbattuto in uno spettacolo del Teatro Balinese a Parigi. E dall’aver individuat­o in esso un principio di vitalismo spirituale che era, ed è, del tutto assente non solo nel teatro occidental­e ma nella stessa cultura occidental­e.

E in lei, invece, come è approdata questa dimensione personale e di vita?

Navigavo a ritroso sul Mediterran­eo, e d’un tratto mi sono ritrovato in Egitto. Sono, per così dire, una piccolissi­ma, trascurabi­le ma consapevol­e avanguardi­a di quella contromigr­azione che tra non molti decenni vedrà gran parte dell’Occidente riversarsi nel Terzo Mondo.

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WIKIMEDIA Antonin Artaud (1896-1948)

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