‘Il Ticino continua a essere la cassaforte delle mafie’
Non ha dubbi Alessandra Dolci, procuratore aggiunto, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, a proposito della presenza delle cosche in Lombardia: «Nel 2010 l’indagine ‘Infinito’ portò alla cattura di 180 persone, quasi tutte condannate. Otto anni dopo nulla è cambiato: c’è stata invece una saldatura tra cosche, soprattutto quelle della ’ndrangheta, con il tessuto sociale. Un esercito di amministratori locali, professionisti e fiancheggiatori. Come confermato da alcune operazioni condotte negli ultimi anni, con ‘Insubria’ e ‘Rinnovamento’, che hanno messo in luce il radicamento della ’ndrangheta anche in Ticino, cantone che continua ad essere la cassaforte della criminalità organizzata». Mafie che non sparano, ma corrompono e “avvicinano” politica e potere. Ancora Alessandra Dolci, subentrata a Ilda Boccassini, della quale per anni è stata il braccio destro: «La saldatura tra mafie e parte del tessuto sociale con scarsissimo livello etico è l’accettazione di questo fenomeno e ciò rappresenta la cosa più preoccupante». Parole amare quelle che la magistrata ha pronunciato nel corso della presentazione della Relazione del secondo semestre 2017 realizzata dalla Direzione investigativa antimafia diretta dal generale Piergiorgio Samja. Innanzitutto la conferma che la Lombardia è la regione a maggior attrazione di investimenti mafiosi. L’operazione ‘Rinnovamento’ ha provato che con i soldi derivanti dal traffico di cocaina sono stati acquistati immobili anche in Ticino. Quello di riciclaggio dei capitali del narcotraffico e, in parte, delle estorsioni e dell’usura, all’interno della cosiddetta economia legale, è l’aspetto principale della relazione della Dia. I dati indicati sono impressionanti. Basti dire che lo scorso anno sono state 55mila le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette in Lombardia. Centocinquanta al giorno. Un ritmo vertiginoso, che rappresenta il 20 per cento di quelle nazionali. Dati che si prestano ad una doppia lettura. Innanzitutto quella positiva: i controlli funzionano. Poi, però, c’è anche quella negativa: una così elevata mole di allerte rende difficile approfondire i controlli. «In molti casi sono serviti ad avviare indagini penali per mafia, in alcuni casi per terrorismo internazionale o patrimoniali» commenta Dolci. Un altro interessante dato: gli arrestati in Lombardia per aver favorito la mafia, attraverso un altro reato, sono stati due nel 2015, cinquantuno nel 2016 e centodieci nel 2017. Si tratta del “capitale sociale” della mafia, l’esercito di professionisti e fiancheggiatori al servizio della criminalità organizzata che – dati alla mano – parrebbe crescere.