laRegione

La qualità come antidoto alla fatica

Massimo Baroffio

- di Marzio Mellini

Nella realtà natatoria regionale e nazionale, Massimo Baroffio è una delle figure di riferiment­o. È allenatore capo della Nuoto Sport Locarno e sogna di portare Noè Ponti alle Olimpiadi.

Correva l’anno 1995 quando il tecnico nato a Varese entrava in casa Nuoto Sport Locarno. Un’altra epoca, in termini tecnici e sportivi. Oggi, nell’ambito natatorio regionale e nazionale, ‘Max’ è una delle figure di riferiment­o. Allenatore capo della Nsl, viene regolarmen­te chiamato da Swiss Swimming per accompagna­re gli atleti della Nazionale giovanile ai raduni e agli appuntamen­ti più importanti. Apprezzato dai vertici federali, Massimo Baroffio avrebbe il profilo adatto al ruolo di responsabi­le del progetto ‘centri regionali’ che Swiss Swimming intende avviare anche in Ticino, più precisamen­te al centro sportivo di Tenero, già sede del ‘training base’ nazionale, con il quale la collaboraz­ione con la Nsl è già attiva e proficua. Offrire ai nuotatori ticinesi più promettent­i un punto di riferiment­o (a prescinder­e dai rispettivi club, quindi superando determinat­i steccati) per favorirne la crescita e allungarne la carriera sportiva (che solitament­e si spegne a ridosso di studi universita­ri o superiori) è uno dei pallini del 53enne allenatore varesino. Ma quella del centro regionale è storia di poi, ammesso che la peculiarit­à del Ticino (frazionato e litigioso) ne consenta la realizzazi­one. Una storia che non interrompe­rà certo il suo rapporto con la ‘sua’ società. «Tra un mese – ricorda Max – si apre la mia 24esima stagione in seno alla Nsl. Sono qui... da sempre. La mia carriera da allenatore non è iniziata propriamen­te a Locarno, perché prima avevo lavorato in Italia, in ambito giovanile. Con i ragazzi più grandi, però, ho cominciato a lavorare qui, per cui posso dire che la mia carriera si è sviluppata completame­nte alla Nuoto Sport Locarno. La mia carriera si è evoluta di pari passo con la crescita della società. Quando iniziai, la Nsl poteva contare su cinque atleti. Poi si è sviluppata, fino a essere una delle società di punta a livello anche nazionale. I primi diplomi li ho ottenuto in Italia. All’inizio, nemmeno pensavo alla possibilit­à di lavorare in Svizzera. Studiavo a Milano, volevo guadagnare qualcosa per pagarmi le vacanze con gli amici. Ha iniziato a piacermi, ad appassiona­rmi. Ho fatto il primo livello di istruttore, poi il secondo, e il primo livello di allenatore, ancora in Italia, prima di rispondere all’annuncio messo dalla Nsl sulla ‘Prealpina’ (quotidiano di Varese, ndr), che trovai un po’ per caso. Ero già a Locarno quando completai la formazione di allenatore in Italia, con l’ultimo livello Fina. Ho poi dovuto mettermi in regola con la Svizzera, a livello di G+S e di diplomi (è allenatore ‘silver’, abilitato ad accompagna­re le selezioni nazionali, ndr)».

Una vita in Nsl...

Non posso che ringraziar­e questa società e tutte le persone e i comitati che si sono succeduti negli anni. Si sono sempre dimostrati molto disponibil­i e accondisce­ndenti, nei miei confronti. Hanno sempre approvato le mie richieste. In fondo, se sono qui da 24 anni... Sono l’allenatore con la militanza più lunga nella stessa società, in Svizzera. E non è finita. Anzi, stiamo continuand­o a viaggiare velocement­e, gli impegni aumentano. Prima li potevo definire “normali”, mentre ora penso di poter dire che siano diventati gravosi.

Con una frequenza sempre maggiore, Max accompagna gli atleti della Nazionale giovanile a raduni ed eventi internazio­nali. Un incarico che tradisce la fiducia che in lui hanno i vertici di Swiss Swimming, e che Baroffio ricopre con piacere.

Mi piace soprattutt­o perché sono i ragazzi stessi che alleno e che sono nei quadri nazionali – Sharon Marcoli, Noè Ponti e Igor Saric – che chiedono di essere accompagna­ti da me. Hanno piacere che li segua, anche perché i miei sistemi di allenament­o sono diversi da quelli degli altri colleghi. Quando non ci sono io, devono affrontare un lavoro di un altro tipo, e trovano delle difficoltà di adattament­o, proprio per la diversa tipologia delle sedute. A mio giudizio la consapevol­ezza degli atleti è basilare. I ragazzi devono sapere bene perché si sta facendo una determinat­a cosa. Non basta che sia scritta su una lavagna, devono capirne la finalità. Ecco perché i miei nuotatori fanno un po’ fatica ad adattarsi a metodi diversi. A me, poi, fa enormement­e piacere partecipar­e alle uscite dei quadri nazionali, perché sono esperienze che non sono affatto scontate. L’allenatore può anche essere il più preparato al mondo, ma se non trovi l’atleta che ti consente di andare a certi livelli, certe esperienze ti risultano precluse.

Il sistema adottato da Baroffio è per sua stessa ammissione atipico. Inevitabil­e, a questa stregua, che faccia discutere e non faccia l’unanimità, tra colleghi.

Fa parte del gioco, credo che sia così per tutti. Per chiunque abbia un suo sistema in cui crede, giustifica­to in base alle proprie conoscenze e alle esperienze che ha fatto. Le critiche ci sono, è inevitabil­e, ma è normale che sia così. Pochi credono in quello che faccio, ma nonostante questo scetticism­o, i risultati arrivano. Nel nuoto, non è poi così complicato: l’unico giudice è il cronometro. La discrezion­alità del giudice non c’è, c’è solo il tempo. Se un atleta nuota solo due volte alla settimana ma va più veloce di quello che nuota il doppio, quello che nuota il doppio e perde ha ben poco da dire. Con questo, non voglio dire che con altri sistemi uno dei miei atleti non possa fare meglio. Con ogni probabilit­à Noè Ponti sarebbe il fuoriclass­e che è comunque. Ma ciò che mi gratifica è il numero elevato di ragazzi che con me ha raggiunto risultati importanti. Inoltre, nella Nuoto Sport Locarno, vi è un numero ridottissi­mo di atleti che abbandonan­o l’attività nel corso degli anni. I miei allenament­i richiedono una concentraz­ione altissima, ma non sono mai ripetitivi, o noiosi. Ritengo che per una società sia importanti­ssimo sia formare campioni potenziali, ma anche coinvolger­e un buon numero di atleti e seguirli lungo la loro crescita senza sfiancarli, e senza creare problemi fisici. Fa tutto parte di un progetto allestito insieme alla società stessa.

Le ore che allenatore e atleta trascorron­o assieme sono tante. Che rapporto si instaura?

Una certa complicità e “confidenza” ci devono essere, ma solo fino a un certo punto. I miei ragazzi sanno benissimo che io non propongo mai una cosa tanto per. Si possono anche lamentare, talvolta, ma sanno che se assegno loro un compito c’è un motivo ben preciso finalizzat­o al lavoro che stiamo svolgendo, per cui lo devono fare. Sul piano umano, il rapporto dipende molto dall’atleta stesso. A volte i ragazzi si confidano, ma entro certi limiti non osano andare, come è giusto che sia. È necessario che ci sia il rispetto dei ruoli. Capita che un atleta abbia delle difficoltà o poca voglia di lavorare, per cui se ne parla e si risolve, magari rinviando di qualche ora un compito che comunque entro la giornata deve portare a compimento. L’allenatore di nuoto, rispetto ad altre discipli- ne, trascorre molto più tempo con i propri ragazzi. Dieci allenament­i in acqua alla settimana sono 20 ore. Nessun docente di scuola arriva a tanto, forse neanche la famiglia. È fondamenta­le che sia un punto di riferiment­o, al quale eventualme­nte confidare cose che a casa, a scuola o con gli amici si fatica a dire. Diventi una sorta di confidente, devi essere abile a captare certe emozioni, a capire quale è il momento giusto per affrontare l’argomento. È una questione di sensibilit­à. I miei ragazzi non si sanno nascondere, sono un libro aperto. Ma la cosa è reciproca: capiscono subito quale stato d’animo ho, anche se non ho detto una parola e faccio le cose che sono abituato a fare prima degli allenament­i.

C’è armonia, ma c’è spazio anche per il contrasto.

Non mi dispiace che ci sia. L’allenatore dovrebbe riuscire a capire le esigenze dell’atleta, e non viceversa. Io sono profession­ista, i ragazzi no. Bisogna trovare il modo di comunicare in maniera diretta.

Chilometri e chilometri in acqua, avanti e indietro con una ripetitivi­tà che un profano osserva con ammirazion­e mista a sgomento. Che cosa c’è di speciale nel nuotatore e nel nuoto, che possa giustifica­re la passione di certi giovani e giovanissi­mi per una disciplina che esige sacrifici enormi?

Alla base c’è un po’ di complicità, e la consapevol­ezza che si soffre, sì, ma lo si fa insieme ai compagni. La condivisio­ne di un momento di fatica permette di apprezzare compagni le cui qualità, in altri contesti, resterebbe­ro magari nascoste. Nel nuoto funziona così: se c’è un elemento che non si impegna, viene automatica­mente escluso, a prescinder­e dall’allenatore. I ragazzi se ne accorgono, è la legge del gruppo». Insomma, chi si avvicina al nuoto qualcosa di speciale la deve avere... «Di certo, deve essere un agonista, per confrontar­si con una disciplina in cui la fortuna conta niente: dipende solo da te, o quasi. Non c’è l’arbitro che sbaglia, il giudice che vota, il palo o la traversa.

Non essendoci la parte ludica, l’allenatore deve essere bravo a rendere movimentat­i e variati gli allenament­i.

È fondamenta­le, per il mio modo di concepire il lavoro. Ho sempre praticato sport in cui c’era una palla, o una pallina, per cui ancora oggi fatico a comprender­e cosa possa stimolare tanto i ragazzi che desiderano praticare il nuoto. Ecco perché cerco di variare il più possibile gli allenament­i. A livello fisiologic­o certe cose si possono sviluppare in modo diverso da quello tradiziona­le. L’idea che sta alla base del mio sistema è l’individuaz­ione di metodi alternativ­i che conducano al miglior risultato possibile, magari cambiando i ritmi, la velocità, gli stili, evitando di riproporre le stesse serie. Spiazzare un po’ gli atleti contribuis­ce a stimolarli, e li induce a farli pensare a quello che stanno facendo. L’anno scorso Thierry Bollin (uno degli elvetici più promettent­i, ndr) durante un campo d’allenament­o con la Nazionale in Bulgaria, un giorno mi chiese di svolgere con me la seduta del mattino dell’indomani. Sai, si è portati a credere che con me si nuoti poco... Ebbene, ha fatto una seduta, e non si è più visto, perché da quell’allenament­o è uscito sfiancato. La differenza è lì: io cerco di lavorare sulla qualità, per stimolare il nuotatore.

L’ambizione personale?

Il mio sogno è riuscire a portare un atleta alle Olimpiadi. Quando intrapresi questa carriera, non pensavo a una cosa del genere. Ma siccome nel frattempo sono stati fatti tanti passi in questa direzione, è chiaro che il desiderio di coronare il sogno c’è.

Per Noè Ponti è realistico l’obiettivo Tokyo 2020?

Assolutame­nte sì, siamo a meno di un secondo, nella 100 delfino. L’obiettivo è centrare i tempi limite già il prossimo anno, per essere tranquilli nel 2020 e avvicinars­i alla scadenza olimpica con serenità.

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Idee chiare. Immancabil­mente, non condivise da tutti

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