Stati Uniti: non si può crescere in eterno
Donald Trump ha un compito molto particolare che lo attende. Il presidente Usa dovrà infatti tentare di invertire la consuetudine, valida dalla Seconda guerra mondiale a oggi, che vede ogni esecutivo repubblicano come testimone di una recessione economica. Sebbene il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Kudlow, abbia escluso ogni possibile flessione fino al 2024, l’universo finanziario non è della stessa idea. A dieci anni di distanza dal collasso di Lehman Brothers, la 4a banca americana, sta crescendo in modo significativo il timore che possa esserci un rallentamento nell’attività economica Usa. Questo perché, come ricordato pochi giorni fa da tre policymaker di primissimo livello come Ben Bernanke, Tim Geithner e Paul Volker, non si può crescere in eterno. Traduzione: il ciclo positivo degli Usa potrebbe arrivare al capolinea a breve. I dati macroeconomici, nel mentre, sono assai positivi. Secondo il Fondo monetario internazionale il Pil reale statunitense crescerà del 2,9% in quest’anno, rispetto al precedente. E si tratta della variazione più ampia degli ultimi tre anni. Inoltre, il tasso di disoccupazione si è attestato al 4% in giugno, uno dei livelli più bassi della recente storia americana. Allo stesso tempo, l’inflazione è sotto controllo e la richieste di disoccupazione sono risultate essere al minimo dal 1969. Infine, l’indice S&P500 non solo continua a macinare record, ma si appresta ad accogliere nuove Ipo. Nonostante questo sono diverse le boutique finanziarie che, come i policymaker, stanno mettendo in guardia la Casa Bianca. Fra di esse, troviamo Pimco, la quale ha rimarcato — in una presentazione riservata ai clienti istituzionali — che storicamente, dal 1945 ai giorni nostri, non vi è mai stato un presidente repubblicano che non abbia dovuto affrontare una recessione economica. L’ultimo, legato in modo indissolubile a Lehman Brothers e ai mutui subprime, è stato George W. Bush. Come spiega Rory Bateman, Head of Uk European Equities di Schroders, la situazione per gli investitori è chiara da tempo. In altre parole, i mercati finanziari si stanno già preparando a una flessione del ciclo. «Secondo il corso naturale degli eventi, dovremmo aspettarci un rallentamento, dato che le economie non possono crescere in eterno» fa notare Bateman. Tuttavia, c’è ottimismo. Sia per la nuova architettura di protezione, tanto quella europea quanto quella statunitense, sia per la reale entità di questo fenomeno. «Riteniamo che la prossima recessione sarà contenuta, il che è abbastanza normale dopo l’ampia recessione che abbiamo visto nel 2009», conclude l’economista di Schroders. A spingere verso la crisi gli Usa potrebbe essere non solo un ciclo ormai quasi esaurito, ma anche le politiche commerciali di Trump e del suo consigliere David Navarro. Il neoprotezionismo, ricorda Wells Fargo, «rischia di produrre gli effetti opposti a quelli pensati dall’attuale presidenza. Su base domestica il pericolo più grande è una contrazione dei consumi, che potrebbe accelerare la contrazione dell’attività economica». Non è un caso che infatti il presidente della Fed di St. Louis, James Bullard, si sia detto «angosciato» dagli attuali conflitti commerciali in corso. Quali sono le armi in possesso della Fed per tentare di evitare una nuova recessione nei prossimi 24-36 mesi? La banca centrale sta monitorando da anni le condizioni dei suoi dodici distretti. E sta già adattando la propria politica monetaria per evitare un hard landing, cioè una recessione con un impatto troppo intenso per l’intero sistema. Via libera quindi ad aumenti del tasso d’interesse principale solo in presenza di dati solidi e omogenei, e sempre in modo graduale. Il tutto nonostante questo approccio sia stato a lungo criticato dal presidente, l’ultima volta giovedì scorso parlando con la Cnbc. Anche all’interno dell’istituzione c’è però discordanza. Secondo la Fed di St. Louis le probabilità di una recessione sono ai minimi dal 2013, intorno allo 0,15%, mentre per quella di New York, il distretto più importante, sono al 12,5%, il massimo livello dal 2009. Gli occhi del board della Fed, a cominciare da Powell, restano vigili, come testimoniato dall’ultimo verbale della riunione della banca, in cui si evidenziava il rischio di una recessione nei prossimi anni. E anche Trump dovrebbe esserlo, specie se vuole ottenere un secondo mandato nel 2020.