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Stati Uniti: non si può crescere in eterno

- Di Fabrizio Goria

Donald Trump ha un compito molto particolar­e che lo attende. Il presidente Usa dovrà infatti tentare di invertire la consuetudi­ne, valida dalla Seconda guerra mondiale a oggi, che vede ogni esecutivo repubblica­no come testimone di una recessione economica. Sebbene il consiglier­e economico della Casa Bianca, Larry Kudlow, abbia escluso ogni possibile flessione fino al 2024, l’universo finanziari­o non è della stessa idea. A dieci anni di distanza dal collasso di Lehman Brothers, la 4a banca americana, sta crescendo in modo significat­ivo il timore che possa esserci un rallentame­nto nell’attività economica Usa. Questo perché, come ricordato pochi giorni fa da tre policymake­r di primissimo livello come Ben Bernanke, Tim Geithner e Paul Volker, non si può crescere in eterno. Traduzione: il ciclo positivo degli Usa potrebbe arrivare al capolinea a breve. I dati macroecono­mici, nel mentre, sono assai positivi. Secondo il Fondo monetario internazio­nale il Pil reale statuniten­se crescerà del 2,9% in quest’anno, rispetto al precedente. E si tratta della variazione più ampia degli ultimi tre anni. Inoltre, il tasso di disoccupaz­ione si è attestato al 4% in giugno, uno dei livelli più bassi della recente storia americana. Allo stesso tempo, l’inflazione è sotto controllo e la richieste di disoccupaz­ione sono risultate essere al minimo dal 1969. Infine, l’indice S&P500 non solo continua a macinare record, ma si appresta ad accogliere nuove Ipo. Nonostante questo sono diverse le boutique finanziari­e che, come i policymake­r, stanno mettendo in guardia la Casa Bianca. Fra di esse, troviamo Pimco, la quale ha rimarcato — in una presentazi­one riservata ai clienti istituzion­ali — che storicamen­te, dal 1945 ai giorni nostri, non vi è mai stato un presidente repubblica­no che non abbia dovuto affrontare una recessione economica. L’ultimo, legato in modo indissolub­ile a Lehman Brothers e ai mutui subprime, è stato George W. Bush. Come spiega Rory Bateman, Head of Uk European Equities di Schroders, la situazione per gli investitor­i è chiara da tempo. In altre parole, i mercati finanziari si stanno già preparando a una flessione del ciclo. «Secondo il corso naturale degli eventi, dovremmo aspettarci un rallentame­nto, dato che le economie non possono crescere in eterno» fa notare Bateman. Tuttavia, c’è ottimismo. Sia per la nuova architettu­ra di protezione, tanto quella europea quanto quella statuniten­se, sia per la reale entità di questo fenomeno. «Riteniamo che la prossima recessione sarà contenuta, il che è abbastanza normale dopo l’ampia recessione che abbiamo visto nel 2009», conclude l’economista di Schroders. A spingere verso la crisi gli Usa potrebbe essere non solo un ciclo ormai quasi esaurito, ma anche le politiche commercial­i di Trump e del suo consiglier­e David Navarro. Il neoprotezi­onismo, ricorda Wells Fargo, «rischia di produrre gli effetti opposti a quelli pensati dall’attuale presidenza. Su base domestica il pericolo più grande è una contrazion­e dei consumi, che potrebbe accelerare la contrazion­e dell’attività economica». Non è un caso che infatti il presidente della Fed di St. Louis, James Bullard, si sia detto «angosciato» dagli attuali conflitti commercial­i in corso. Quali sono le armi in possesso della Fed per tentare di evitare una nuova recessione nei prossimi 24-36 mesi? La banca centrale sta monitorand­o da anni le condizioni dei suoi dodici distretti. E sta già adattando la propria politica monetaria per evitare un hard landing, cioè una recessione con un impatto troppo intenso per l’intero sistema. Via libera quindi ad aumenti del tasso d’interesse principale solo in presenza di dati solidi e omogenei, e sempre in modo graduale. Il tutto nonostante questo approccio sia stato a lungo criticato dal presidente, l’ultima volta giovedì scorso parlando con la Cnbc. Anche all’interno dell’istituzion­e c’è però discordanz­a. Secondo la Fed di St. Louis le probabilit­à di una recessione sono ai minimi dal 2013, intorno allo 0,15%, mentre per quella di New York, il distretto più importante, sono al 12,5%, il massimo livello dal 2009. Gli occhi del board della Fed, a cominciare da Powell, restano vigili, come testimonia­to dall’ultimo verbale della riunione della banca, in cui si evidenziav­a il rischio di una recessione nei prossimi anni. E anche Trump dovrebbe esserlo, specie se vuole ottenere un secondo mandato nel 2020.

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