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Utili, potranno salire ancora?

- Di CorrierEco­nomia

“Sì, ma la crescita degli utili per le società dell’S&P500 è stellare”, ribattono entusiasti molti operatori a chi fa notare come le condizioni dell’economia e dei mercati finanziari non siano più quelle idilliache di un anno fa. In effetti, la progressio­ne degli utili aziendali è spettacola­re: +21,5% nel 2° trimestre (dati Thomson Reuters), dopo il +26,6% del precedente, cosicché il 2018 si chiuderebb­e con un +22,5%, come raramente s’era visto in passato e forse mai nella piena maturità di un ciclo economico che potrebbe rivelarsi il più longevo della storia moderna. “Dicevate che Wall Street è cara”, ironizzano gli entusiasti operatori, facendo osservare come il rapporto prezzo e utili (p/e) dell’S&P sia ora sceso all’accettabil­e livello di 17,4, dal 19 e più dello scorso anno.

Crescita dovuta al taglio delle tasse

Tutto vero e tutto entusiasma­nte, se non fosse che oltre la metà della crescita attesa per il 2018 arriva dal taglio delle tasse. I ricavi, infatti, dovrebbero aumentare del 7,5%, non molto più del 6,6% del 2017. E poi quei brillanti risultati si stimavano già un anno fa ed è difficile credere che una Borsa salita del 21% nel 2017 non li avesse pienamente scontati. La questione che agita gli investitor­i più consapevol­i è semmai quanto potranno crescere gli utili futuri, insomma quanto siano sostenibil­i l’espansione dei margini reddituali e l’attuale ritmo dell’econoperà

mia, pur mettendo in conto l’entusiasmo suscitato dalla riforma fiscale e dagli altri progetti promessi da Donald Trump. La sensazione, osservando le prime conseguenz­e dell’incipiente guerra commercial­e e di un deficit federale avviato quasi al raddoppio, è che adesso Trump, più che una benedizion­e, sia d’inciampo ai mercati e all’economia mondiale. Le stime di crescita per gli utili 2019 sono, infatti, assai più modeste: +9,9%, che sarebbe comunque un ottimo risultato, se si pensa che la crescita media tra il 2012 e il 2017 è stata di poco superiore al 5%. Ma c’è il sospetto che le previsioni per il 2019 pecchino un poco d’ottimismo, come spesso accade quando si guarda al futuro sotto la suggestion­e del presente. Strano a dirsi, nel mensile sondaggio di Bank of America si segnala invece come la maggioranz­a degli investitor­i creda (o dica di credere) che gli utili aziendali abbiano toccato un picco e non migliorera­nno il prossimo anno, denunciand­o un pessimismo che non si sarebbe visto dal febbraio 2016. Allo stesso modo, oltre il 50% degli intervista­ti non s’aspetta più un’accelerazi­one della crescita economica nei prossimi 12 mesi: sensazione confermata anche da Barclays. E già non poche società americane si stanno preoccupan­do per la risalita del dollaro (in verità un non drammatico +3,6% da inizio anno) che appesantir­ebbe le esportazio­ni. Molte altre citano l’aumentato costo del lavoro, che ridurrebbe i margini nei prossimi mesi: diciamo li limerebbe, visto che l’aumento dei salari è piuttosto contenuto. In ogni caso, questi fattori, messi assieme a un costo del denaro in crescita, alla riduzione della liquidità operata dalla Fed, alla crescita mondiale sempre meno sincronizz­ata, all’aumento dei debiti (societari e pubblici) e, soprattutt­o, all’incipiente guerra doganale – sottolinea Liz Sonders di Charles Schwab – fanno credere che «occorra diffidare dalle troppo ottimistic­he previsione per il 2019».

Contraddiz­ione fra utili e tassi

C’è tuttavia una contraddiz­ione tra le previsioni di utili e quelle sui tassi d’interesse, perché, mentre le prime tradiscono ottimismo, le seconde peccano di un forse strumental­e pessimismo: si crede che la Fed allenterà a breve o interrom- la politica restrittiv­a a causa di un’economia in rallentame­nto o, addirittur­a, in prospettiv­a di una recessione nel 2020. Così vorrebbe leggere gran parte degli operatori nella curva dei rendimenti sempre più piatta e prossima all’inversione. Ma, se così fosse, si preparereb­bero mesi bui anche per la redditivit­à delle aziende.

La questione che agita gli investitor­i più consapevol­i è semmai quanto potranno crescere gli utili futuri, insomma quanto siano sostenibil­i l’espansione dei margini reddituali e l’attuale ritmo dell’economia

Quasi ci si scordava di accennare all’Europa, dove la crescita degli utili (stimata) non è poi così male: +8,2% nel 2° trimestre per le società dell’indice Stoxx (e +25,4% per le aziende italiane contro il -1,5% delle tedesche secondo Thomson Reuters) e +8,6% per fine anno, con ricavi in aumento del 6%. Dopo un 2017 non esaltante (+6,9% lo Stoxx) e un 2018 in negativo (-1%), le valutazion­i sarebbero assai più interessan­ti di quelle di Wall Street: con un p/e prospettic­o poco sopra 13, l’indice Stoxx sconterebb­e una sottovalut­azione del 25% rispetto all’S&P500. Ma i grandi investitor­i guardano solo episodicam­ente a noi e, al momento, ci ritengono poco interessan­ti: anche se l’indice sulle sorprese economiche elaborato da Citi è in netto recupero dopo il tonfo dei primi 5 mesi dell’anno.

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KEYSTONE ‘Pesa’ la guerra dei dazi

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