L’impossibile normalità palestinese
Un momento di festa: per il matrimonio della figlia Amal, Abu Shadi fa il giro di amici e parenti per consegnare gli inviti alla cerimonia. Insieme a lui, l’altro suo figlio Shadi, tornato dall’estero dove vive da diversi anni. Una tradizione, quella di portare di persona gli inviti, che è un dovere sociale, un ‘Wajib’, come recita il titolo del film di Annemarie Jacir, applaudito l’anno scorso in concorso a Locarno, che questa sera e domani al Parco Scherrer di Morcote chiuderà la rassegna ‘Cinema Sud’ di Helvetas. Un momento di festa, di allegria. Nonostante alcune ombre: i problemi di salute di Abu Shadi che, col matrimonio della figlia, si ritroverà solo, la possibile assenza, al matrimonio, della madre di Shadi e Amal, che anni prima aveva abbandonato la famiglia, vecchi rancori familiari che a fatica si cerca di tenere sepolti nonostante le lunghe ore trascorse insieme in auto. Già questi ingredienti bastano, a un buon cineasta – e Annemarie Jacir, qui al suo terzo lungometraggio, si dimostra un’abile regista – con un buon cast – e qui possiamo contare sui due protagonisti Mohammad e Saleh Bakri, padre e figlio nella finzione e nella realtà – per confezionare una bella commedia amara. Ma quello che rende ‘Wajib’ grande cinema è altro: questo road movie si muove infatti lungo le strade di Nazareth, con la tormentata convivenza tra israeliani e palestinesi a fare da controcanto alle umane vicende dei personaggi. Il risultato è un potente e al contempo delicato affresco dell’impossibile normalità palestinese, nella quale il vero conflitto è tra padre e figlio. Tra la rassegnazione del padre, adattatosi ai rapporti di forza che regolano ogni aspetto della vita quotidiana, abituato a contare meno di un cane se questo è israeliano, a cercare l’approvazione sia degli israeliani sia dei collaborazionisti arabi, e la resistenza del figlio, con la sua voglia di ribellarsi, di cambiare una realtà che ritiene profondamente ingiusta o quantomeno di non essere complice dell’ingiustizia. Ma è anche il conflitto tra chi è rimasto e cerca di vivere, o sopravvivere, con dignità e chi invece ha deciso di andarsene. Paradossi che viviamo anche noi, viaggiando nella vecchia Volvo di Abu Shadi, visitando improbabili parenti e conoscenti, incontrando grandi e piccole storture.