laRegione

E ora scordiamoc­i del cielo

- Di Luca Berti

L’eclisse ci ha ricordato che esiste il cosmo. Ora possiamo tornare di nuovo a ignorarlo. È peraltro molto facile in mezzo al bagliore dei lampioni dei centri cittadini, capaci di oscurare la flebile luce provenient­e da decine, centinaia di anni luce di distanza. Il cielo bussa, ma ormai in pochi rispondono dato che il firmamento, visto dalle città, assomiglia a un lenzuolo nero con qualche decina di lucette pallide. Roba poco interessan­te, insomma… Qualcuno direbbe forse – scomodando il marketing – che si vende male. E sebbene si possa pensare che, in fondo, vi sono cose ben peggiori (è vero), l’apatia verso la volta celeste è pur comunque un impoverime­nto culturale significat­ivo per un genere umano da sempre ispirato dall’immensità della sfera celeste. E così le generazion­i dell’ultimo mezzo secolo sono tra le più informate teoricamen­te su quanto avviene negli spazi interstell­ari, ma anche quelle che meno di tutte conoscono davvero la mappa siderale. Non avendone esperienza diretta e, soprattutt­o, quotidiana, oggi fatichiamo addirittur­a a capire come le popolazion­i antiche potessero avere una nozione così approfondi­ta dei moti degli astri, tanto che c’è chi – confondend­o la nostra stessa ignoranza per massima espression­e dell’erudizione – non riesce spiegarsi come mai gli studiosi egizi, maya e aztechi ne sapessero altrettant­o se non di più di noi. E allora, devono risolvere il dilemma e non volendo ammettere le nostre mancanze culturali (vuoi che nell’epoca del computer il cittadino medio non sia più intelligen­te degli antichi?), dev’essere per forza che a quelli la soffiata sia giunta dagli alieni. Un’ipotesi che, per carità, non sarà mai escludibil­e, ma che è tanto improbabil­e quanto denota una tremenda sfiducia nella capacità umana di farsi domande e darsi risposte. Di più. Basterebbe per esempio ricordarsi che fino a duecento anni fa le uniche luci artificial­i erano quelle delle lanterne, dei fuochi e delle torce e che quindi la volta notturna dominava il paesaggio ogni sera con migliaia di astri: spettacolo che oggi è riservato solo ai posti più bui del pianeta, come ad esempio i deserti o l’alta montagna. In passato il firmamento era dunque l’assoluto protagonis­ta delle notti terrestri, con conseguent­e capacità di incuriosir­e, suscitare timore e domande esistenzia­li. Non c’è quindi da stupirsi che i popoli di allora vi attribuiss­ero un valore mistico e che le varie culture del mondo lo abbiano usato come lavagna per tracciarvi le figure della loro mitologia. Allora riconoscer­e le costellazi­oni era ricordare quelle storie e imparare la ciclicità del loro movimento significav­a tener conto delle stagioni e determinar­e con precisione le tappe fondamenta­li in una cultura prevalente­mente contadina. Per non parlare dell’uso fondamenta­le della mappa stellare fatta dai naviganti. Esigenze che hanno aguzzato l’ingegno di allora e che oggi non sono più attuali. Anche per questo, forse, la nostra ignoranza si specchia nell’intelligen­za “aliena” di chi ha vissuto centinaia o migliaia di anni fa. A noi, purtroppo, sembra ci basti ricordarci del firmamento una volta ogni tanto, quando vi accade qualcosa di grosso. Tipo la Luna che si eclissa. Eppure basterebbe solo un poco di buona volontà per uscire “a riveder le stelle”. Sono sufficient­i gli occhi. E un cielo buio.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland