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Corrente del Golfo

- di Francesco Maggi, responsabi­le del WWF Svizzera italiana

In questi giorni si può leggere sul sito di MeteoSvizz­era che sulle spiagge del Mare Artico – nell’estremo Nord della Norvegia – la colonnina di mercurio ha toccato i 30 gradi, in una regione che di regola conosce temperatur­e massime attorno ai 10 gradi. Non solo: la Svezia deve fare i conti con incendi boschivi, come non se n’erano mai visti. Una delle tante notizie di questa strana e pazza estate che avvalora quanto anticipato da due diversi studi pubblicati lo scorso 12 aprile dalla prestigios­a rivista ‘Nature’. I dati raccolti e analizzati dai team di ricercator­i indicano che la Corrente del Golfo è ai minimi storici da 1’600 anni a questa parte. In termini percentual­i ha perso il 15-20% della sua forza. L’indebolime­nto della Corrente del Golfo – che garantisce un clima mite all’Europa – è da molti anni una delle maggiori preoccupaz­ioni degli scienziati che si occupano di clima e cambiament­i climatici. Quella che nel 2000 era ancora un’ipotesi, oggi è una preoccupan­te realtà. A interferir­e nella circolazio­ne atlantica sono i grandi quantitati­vi di acqua dolce che si riversano nell’Atlantico del Nord a causa dello scioglimen­to dei ghiacci e dall’aumento delle precipitaz­ioni nella regione polare, fenomeni direttamen­te legati ai cambiament­i climatici in corso. Questa grande massa di acqua dolce, più leggera dell’acqua salata, impedisce l’inabissame­nto dell’acqua nella regione artica che a sua volta è il motore che richiama altra acqua dal Golfo caraibico dando origine alla Corrente del Golfo. Tra le conseguenz­e di questo rallentame­nto – destinato a peggiorare nei prossimi decenni – vi sono tempeste invernali sulle Isole Britannich­e, onde anomale di calore in Europa, innalzamen­to del livello dell’oceano nella costa est degli Stati Uniti e aumento della frequenza e violenza dei cicloni nella regione del Golfo. I modelli non sono comunque ancora in grado di precisare le conseguenz­e del rallentame­nto della Corrente del Golfo sul sistema climatico, che potrebbero essere ben peggiori. Per questo motivo la comunità scientific­a è al lavoro proprio in questi giorni in Florida per cercare di meglio comprender­e questo fenomeno. Di certo vi è che le conseguenz­e non si limiterann­o al clima, ma anche alla fauna marina. Sotto la lente ci sono soprattutt­o specie importanti per l’industria della pesca come il merluzzo. La comunità scientific­a ha fornito da tempo le prove che il riscaldame­nto del clima terrestre è causato in gran parte dalla combustion­e di energie fossili (carbone, petrolio, gas) da parte dell’uomo. Purtroppo, le emissioni globali di CO2 – dopo una lieve diminuzion­e subito dopo il vertice di Parigi – sono tornate a salire. La sete di petrolio sembra non conoscere limiti, la guerra dei dazi innescata da Trump ha già provocato un calo della crescita dell’industria solare e pure gli svizzeri non sono esenti da responsabi­lità, visto che sono tra i maggiori ‘volatori’ al mondo. Di conseguenz­a l’agenda climatica continuerà a impegnare a fondo il WWF nei prossimi anni, ad esempio per una revisione della legge federale sul CO2 più incisiva, per l’estensione della tassa sul CO2 al traffico aereo internazio­nale e per convincere la piazza finanziari­a elvetica a disinvesti­re dalle fonti energetich­e fossili a favore di maggiori investimen­ti nelle energie pulite.

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© WWF / Sindre Kinnerød Permafrost che si scongela

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