Patria e nazione: non lasciatele sole
Segue dalla Prima (...) a Vienna nel 1815. Ma è solo questione di tempo. Vertici locali come quelli organizzati dal gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) non perdono occasione per ribadire la loro estraneità a questa Ue, ritenuta troppo permissiva e accogliente nei confronti dei migranti. Come sempre succede, è il linguaggio la miglior spia del mutamento in corso. Studiare il lessico – evoluzione, sfumature, ambiguità – vuol dire penetrare nel dizionario del mondo nuovo in gestazione. Il primo costrutto che incontriamo è «nazional-populismo»: un’espressione che combina il fattore nazionale, ossia l’esaltazione del luogo natio, con l’apologia del popolo, elevato a principio e fine di ogni decisione politica. Il secondo è «sovranismo», parola assai recente, che ha sostituito il nazionalismo, termine troppo compromesso con le immani tragedie del Novecento. Altre voci seguono a ruota. Sono parole a prima vista innocue, o meno aggressive, come patria, famiglia, onore, sangue, suolo, ma che nell’economia dei discorsi possono assumere significati si- nistri e per nulla rassicuranti. Mettere assieme sangue e suolo riporta immediatamente all’epoca nazista; Dio, patria e famiglia è la triade per eccellenza delle forze monarchiche e dei conservatori. Scomodare Dio, in politica, non è un buon segno. Il pensiero liberal-democratico non ha mai ripudiato la patria, e nemmeno la nazione. Ma aveva cura di coniugarle con altri concetti che ne attenuavano la forza dirompente. Mazzini, ad esempio, accompagnava sempre la sua predicazione con «repubblica» e «democrazia»: «Ci sono persone che, al solo udire la parola Democrazia, vedono apparire il fantasma del 1793 [regime del Terrore giacobino n.d.r.]. Per loro la Democrazia è una ghigliottina sormontata da un berretto rosso», osservava il patriota ligure nel 1846 sul periodico inglese ‘People’s Journal’ (testo ripreso nel volume Pensieri sulla democrazia in Europa). Lasciate sole, patria e nazione degenerano, si fanno sistema, ideologia, dottrina; diventano velenosi «-ismi». Patriottismo e nazionalismo rifiutano qualsiasi compagnia che si proponga di arginarne gli eccessi. Sfuggono di mano per alimentare ambizioni autocratiche, come effettivamente sta succedendo in mezza Europa, specie nei Paesi in cui le istituzioni democratiche non hanno ancora raggiunto un alto grado di maturità. Per questo occorre vigilare: patria in sé è una parola nobile. Evoca il padre, anche se è femminile. In tedesco «Heimat» racchiude la casa («Heim»), ovvero un guscio protettivo caldo e ospitale, un tetto, un rifugio. Ma già con «Vaterland», la terra del padre, s’introduce un elemento virile, che mobilita ed esige il sacrificio supremo. Infatti la versione italiana del «Rufst du, mein Vaterland», l’inno nazionale composto nel 1811 e rimasto in vigore fino al 1961, comprende strofe come «uniti impavidi/snudiam l’acciar… È dolce, Elvezia/morir per te». Gli antidoti a simili derive e tentazioni autoritarie esistono: comprendono princìpi attivi come spirito critico, coscienza democratica, difesa delle istituzioni repubblicane (divisione dei poteri, pesi e contrappesi), libertà di parola e di stampa. Il primo agosto serve se scavalca la retorica, le narrazioni leggendarie e le solite belle parole di circostanza.