In mano a Rahmon
Se la guerra civile degli anni Novanta fu l’incubatrice della sua ascesa al potere, la “minaccia islamista” ne è stata l’assicurazione sulla vita. Più precisamente sulla permanenza al potere a vita. Emomali Rahmon, è presidente del Tagikistan dal 1992, e sin dai primi mesi di mandato si è dedicato a reprimere ogni forma di opposizione politica, assecondato in ciò da Mosca, che inviò i propri militari nel Paese e ancora oggi ve li mantiene. La Russia ha “ottimi” argomenti per sostenere il regime di Rahmon: non certo il fatto che il Paese sia una delle più povere repubbliche ex sovietiche, ma piuttosto la determinazione a impedire il “contagio islamista” che si irradia dalle repubbliche dell’Asia centrale. Diverse centinaia di tagiki avrebbero combattuto in Siria e in Iraq con l’Isis. Fra questi anche il comandante delle forze speciali Gulmurod Khalimov. Cose che vengono passate sotto silenzio, anzi: assecondate, tutte le legislazioni che mettono a tacere la dissidenza, e le prassi decisamente “muscolari” con cui gli apparati repressivi provvedono alla bisogna. Mentre Rahmon ha imposto agli organi di informazione di riferirsi a lui indicandolo sempre come “Fondatore della Pace e dell’Unità Nazionale, Leader della Nazione, Presidente della repubblica del Tagikistan, Sua Eccellenza Emomali Rahmon”