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L’ultima parola a chi non ce l’ha

- Ansa/e.f.

Londra – La spina la staccheran­no d’intesa familiari e medici. Nel Regno Unito, non sarà cioè più un tribunale a dire l’ultima parola sulla scelta di interrompe­re le cure a pazienti che versano in stato vegetativo. Lo ha stabilito la Corte suprema britannica con una sentenza storica, in base alla quale non sarà più chiesta l’autorizzaz­ione legale per interrompe­re l’alimentazi­one artificial­e dei malati e basterà quindi un accordo tra i medici e i familiari. La sentenza, ed è forse questa la novità più significat­iva, non stabilisce se sia giusto o no interrompe­re le cure, ma ne circoscriv­e la decisione alle persone più vicine ai pazienti, familiari e medici. L’attuale legislazio­ne, invece, manteneva l’obbligo di attendere l’intervento della Court of Protection, che doveva esprimersi sui singoli casi, un processo decisional­e che poteva richiedere mesi e talvolta anni prima che si arrivasse a un pronunciam­ento finale. Il magistrato Lady Black, che ha annunciato la sentenza, ha sottolinea­to che non si incorre in una violazione della Convenzion­e per i diritti umani, nello “staccare la spina”, qualora le condizioni del paziente appaiano irreversib­ili dal punto di visto medico e non ci siano quindi prospettiv­e attendibil­i di una ripresa di coscienza. Il caso che ha portato alla decisione è quello di un uomo colpito da un grave attacco di cuore, e che da giugno si trovava in stato vegetativo. La famiglia, di fronte ai tempi di attesa per l’autorizzaz­ione a staccare le macchine che lo tengono in vita, si è quindi rivolta alla più alta istanza giudiziari­a del Regno. Nel frattempo l’uomo è deceduto ma il procedimen­to è andato avanti e ora la vittoria ottenuta dai suoi legali potrebbe cambiare la sorte di migliaia di connaziona­li. Si tratta di 1’500 nuovi casi ogni anno solo in Inghilterr­a e Galles. Se le associazio­ni in favore del fine vita esultano, quelle anti-eutanasia (benché, questo caso non lo sia, in senso stretto) sono però insorte. Peter Saunders, medico e direttore del gruppo Care Not Killing, si è detto “molto preoccupat­o e deluso per la decisione della Corte suprema”, in quanto così i “pazienti saranno di fatto affamati e disidratat­i fino alla morte”. Al contrario, l’associazio­ne Compassion in Dying considera che la sentenza permetterà alle persone più vicine al malato di prendere la decisione nel migliore dei modi. Migliore tra virgolette.

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Non deciderà un giudice

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