Trump e le quattro Europe
Con quella lentezza di riflessi che segue sempre l’incredulità, i governi europei (ma sarebbe meglio dire alcuni governi europei) si stanno rendendo conto di non avere più un amico, e forse nemmeno un vero alleato, dall’altra parte dell’Atlantico. I dissensi euro-americani da quando Donald Trump è entrato alla Casa Bianca nel gennaio del 2017 sono troppo noti per dover essere qui rievocati, basterà dire che spaziano dall’ambiente alla Nato, dai commerci al Medio Oriente, dall’Iran ai rapporti con la Russia per limitarci ai grandi temi. Non doveva sorprendere, perciò, il Trump che alla vigilia del summit di Helsinki con Vladimir Putin definì «nemica» l’Europa prendendo spunto dai contrasti commerciali. Così come non deve sorprendere, oggi, che in Europa (soprattutto in Germania, bersaglio fisso di Trump) vengano esplicitamente messi in dubbio i legami transatlantici che da settant’anni parevano un dato acquisito sostenuto da reciproci interessi. Questa presa d’atto è positiva, perché in sua assenza non risulterebbe possibile nemmeno il tentativo di impostare un dialogo produttivo con Washington: prima bisogna parlare la stessa lingua, e capire con chi si parla. Ma quel che è assai meno positivo è che gli europei tendano a non vedere fino a che punto Donald Trump ha già avuto successo nell’indebolire e nel dividere l’Europa (cavalcando anche fenomeni che non possono essergli interamente attribuiti come il nazional-populismo), e fino a che punto il disegno di Trump possa coincidere con gli interessi strategici di Vladimir Putin.
Il ruolo di Bannon
Se vogliamo restare alle grandi linee delle sue divisioni interne, le Europe che si offrono alle clamorose giravolte di Trump e ai destabilizzanti consigli del suo ideologo Steve Bannon sono almeno quattro. La prima è la Gran Bretagna, l’Europa della Brexit. Prima anche perché Trump ne apprezzò il distacco dalla Ue quando era ancora in campagna elettorale, e dette per sicuro che molti altri Paesi avrebbero seguito il suo esempio. Le cose stanno andando diversamente, la Brexit si sta rivelando un disastro e potrebbe sfociare in un divorzio senza accordo tra le parti, con danni per tutti ma soprattutto per Londra. C’è poco da imitare come sperava Trump, dunque. Ma se il presidente Usa indebolisce la premier May (già debolissima di suo) , e se Bannon passa molto tempo oltre la Manica, è perché il ‘dopo’ interessa comunque la Casa Bianca, come cavallo di Troia in caso di accordo, come nemico alle porte in caso di lite. Con un Primo Ministro più adeguato, tipo Boris Johnson? Parole di Trump. La seconda è quella che fu definita l’Europa carolingia, l’Europa fondante dell’asse franco-tedesco. Cosa rimane oggi di quell’asse, o almeno di quel rapporto di stretta alleanza senza il quale l’Europa non può esistere? In Germania una Cancelliera visibilmente logorata, alla testa di un governo fragile, ancora coerente con la sua visione dell’europeismo ma assediata dalla ‘colpa’ elettorale di aver lasciato entrare in Germania troppi rifugiati venuti da lontano e troppi migranti irregolari. In Francia un presidente che aveva sollevato molte speranze negli europeisti e aveva sconfitto una Marine Le Pen che sarebbe stata la fine dell’Europa, ma che si è man mano rivelato un capo dell’Eliseo troppo sicuro di sé e assai più vulnerabile del previsto. Questa Europa, che è il cuore e il motore dell’Ue, è il vero bersaglio della strategia di Trump che comprensibilmente se la prende soprattutto con l’avversario più forte, la Germania. Se ci saranno dazi Usa sulle auto europee importate, l’idea centrale sarà di colpire i grandi produttori tedeschi. E non importa se anche altri pagheranno. La terza è l’Europa ex sovietica. Qui il discorso è complesso, ed è sbagliato parlare del gruppo di Visegrad pensando che tutti i suoi membri la pensino allo stesso modo su tutto (basti osservare che la Polonia è fortemente anti-russa mentre l’Ungheria non lo è), così come è sbagliato abbinare sempre a Visegrad le Repubbliche Baltiche. E tuttavia, con le dovute eccezioni, alcuni tratti comuni esistono. Forte ostilità nei confronti di Mosca, periodicamente impegnata in episodi di ‘guerra ibrida’ (disinformazione, guerra cibernetica,
ecc.) ma sospettata di pianificare anche veri e propri attacchi militari o pesanti interferenze armate come in Ucraina. Apprezzamento di facciata nei confronti di Trump, ma timore che gli Usa non rispettino l’articolo 5 del trattato Nato (soccorso obbligatorio a sostegno di un alleato aggredito) e dunque richiesta di continue rassicurazioni militari. No tassativo ai migranti (ma l’Estonia è stata tra i pochi ad accettare la sua pur piccola ‘quota’ proveniente dall’Italia), nazionalismo sugli scudi, scarso rispetto dello Stato di diritto in Polonia e Ungheria, antieuropeismo non dichiarato.
Rovesciamento
La quarta Europa comprende anche l’Italia. È l’Europa che ama contemporaneamente Trump e Putin senza vederci alcuna contraddizione, che cerca il consenso elettorale nel respingimento
dei migranti, che sbraita contro la Ue spesso per mascherare problemi propri. Con l’Italia essa comprende già l’Ungheria e l’Austria, flirta con la Csu bavarese, può allargarsi nell’Europa del nord, è parente prossima di tutti i componenti del gruppo di Visegrad, e anche qui agisce e si infiltra l’ideologo Steve Bannon. Quel che conta è comprendere per tempo, chi ancora vuole farlo, che in gioco non c’è soltanto la sorte dell’Europa. C’è il rovesciamento dell’ordine multilaterale che proprio gli Usa avevano costruito dopo la seconda guerra mondiale, c’è il rifiuto delle sue regole, c’è il desiderio di smantellare istituzioni, accordi, gruppi che possono ostacolare la visione contenuta nell’America First trumpiana e bannoniana, c’è dunque il desiderio di un ritorno ai rapporti strettamente bilaterali nei quali gli Usa non avranno difficoltà a prevalere.
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