Sotto il vulcano
Torna, in una nuova traduzione, il romanzo-capolavoro di Malcolm Lowry
Nonostante alcune attualizzazioni poco opportune, la nuova versione di Marco Rossari restituisce una prosa eccellente ed efficace. Un’occasione per leggere, o rileggere, l’opera di un grande scrittore scomparso, a soli 48 anni, nel 1957.
La traduzione, per sua natura, è un prodotto letterario inevitabilmente destinato all’obsolescenza, è insomma un oggetto… deperibile. Ogni epoca, si sa, ha il suo modo di intendere la lingua, e la lingua muta sensibilmente col passare del tempo. A volte anche traduzioni d’autore invecchiano, e richiedono dunque ritocchi. O veri e propri rifacimenti. In altri casi – ma questo vale soprattutto per la poesia – la traduzione diviene parte dell’opera stessa del traduttore. Ed ecco allora che un classico della narrativa del Novecento, come ‘Sotto il vulcano’ di Malcolm Lowry, uscito per la prima volta nel ’47 e tradotto nella nostra lingua nel ’61 da Giorgio Monicelli, è stato di recente riproposto, sempre da Feltrinelli (426 pagine, 18 euro), nella versione di Marco Rossari. Me lo sono presto procurato, attratto soprattutto dall’idea di rileggere una volta di più un romanzo che già avevo molto amato, e devo dire che ho fatto bene. Questo perché ho subito notato la felice scioltezza dello stile e dunque l’efficacia di una nuova leggibilità davvero elegante. Anche se alcune attualizzazioni linguistiche della traduzione non mi sono parse proprio necessarie. Come quando il personaggio Hugh, che da ragazzo è un song-writer (anni Trenta) viene detto “cantautore” (neologismo – e non solo – anni Sessanta) o quando troviamo un imbarazzante “cazzeggiare” o l’uso di “tipo”, tic linguistico banale dell’oggi. Detto questo, e ammetto la mia pedanteria, è necessario ribadire che Marco Rossari ci consegna un Lowry eccellente.
La straordinaria qualità del romanzo è nella libertà della sua costruzione, che permette all’autore di muoversi di continuo su piani diversi
E tornare a una narrativa così complessa e insieme coinvolgente è davvero, oltre che un’emozione, un vero piacere: a fronte di tanti prodotti contemporanei nella nostra lingua troppo facili, di basso valore letterario, e magari anche in auge. Il protagonista di ‘Sotto il vulcano’ è e rimarrà una figura memorabile. Geoffrey Firmin, il console in Messico, a Quauhnahuac, un vero signore, un alcolizzato grave, turbato in profondo, amato e tradito, nonché decisivo complice del suo disfacimento a precipizio. E altri personaggi proposti nella loro identità cangiante sono la moglie Yvonne, che pure lo ama, il fratellastro Hugh, l’amico Laruelle. Il tutto collocato con estro nell’ambiente, nell’atmosfera messicana. Ma la straordinaria qualità del romanzo è nella libertà della sua costruzione, che permette all’autore di muoversi di continuo su piani diversi, strabiliando il lettore, che anche negli impasti più arditi riesce a cogliere la sostanza densissima del racconto nelle sue articolazioni e sovrapposizioni molteplici. Siamo ancora in epoca di sperimentazione narrativa, e dunque di ricerca ben oltre le più protettive e normali, consequenziali strutture del racconto, con associazioni violente, accelerazioni oniriche. Il tutto crea una sostanza sorprendente, per carico di situazioni, dettagli, osservazioni, dove in fondo irrilevante è lo stesso svolgersi di una trama.
L’autore
Malcolm Lowry, minato come il console dall’alcol, morì nel 1957, poco prima di compiere 48 anni. La sua opera è importante quanto esigua. Oltre al capolavoro, i titoli maggiori sono i romanzi ‘Ultramarina’ e ‘Caustico lunare’. E poi le poesie, purtroppo poco note.