laRegione

La destra nel deserto

- Di Erminio Ferrari

Ne hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato terza repubblica. Lo scenario generato in Italia dal risultato delle elezioni del 4 marzo si conferma, a cinque mesi di distanza, di chiarezza sconcertan­te: l’insediamen­to al potere di un’accolita di rancorosi incapaci e impudenti, che tuttavia rispecchia alla perfezione lo stato di un Paese che in così larga misura vi si è affidato (e continua a farlo, se i sondaggi sono attendibil­i) e interpreta senza possibilit­à di fraintendi­menti lo spirito dei tempi. La sua ispirazion­e di destra è certa, ma di una destra che si pretende nuova, indisponib­ile ai rituali di un liberalism­o stucchevol­e e ingessato. Rivoluzion­aria, piuttosto. E qui nasce il problema. Anzi due: uno, al suo interno, di conquista della leadership, attraverso una radicalizz­azione ideologica, del linguaggio e della prassi di governo; l’altro di come e quanto costerà questo passaggio a una democrazia da sempre convalesce­nte come quella italiana. Tanto, troppo, questo lo si può già dire. Una destra nuova, dunque, ma non abbastanza per produrre un linguaggio che non rinvii a quello ben noto del fascismo storico: il frasario di Matteo Salvini attinge a piene mani, per forma e contenuti, a quello mussolinia­no. Ma neppure tanto nuova da potersi facilmente emancipare dall’ormai patetica figura che si pretende suo “padre nobile” in virtù del fatto di esserne stato a lungo il bancomat. E questo spiega il conflitto con Berlusconi, manifestat­osi nella forma più grottesca attorno alla sconsidera­ta candidatur­a di Marcello Foa alla presidenza Rai. Grottesca e paradossal­e, poiché la distinzion­e tra Salvini e Berlusconi si rivela in larga parte surrettizi­a a chi appena ricordi il contributo di delegittim­azione delle istituzion­i apportato da Berlusconi medesimo quando sedeva al loro vertice. In altre parole, se Salvini non vale niente (e cerca di sopperirvi con la ferocia), non è dal niente che viene. E soprattutt­o si giova di un contesto, interno e internazio­nale, più che fertile per la malaerba che va disseminan­do, nel quale le peggiori pulsioni autoritari­e mietono consensi grazie all’allure anti-sistema che si sono date, anche per merito di un sistema informativ­o pigro e connivente. Un contesto al quale, in Italia, concorrono l’inettitudi­ne dei 5Stelle e l’irrilevanz­a, progettual­e e di discorso, della sinistra. Lasciata nel giusto angolo in cui si trova la seconda, va detto che quella dei grillini è una subalterni­tà a Salvini più che colpevole. Annunciati­si come portatori del cambiament­o, si sono accomodati alla più trita consuetudi­ne di occupazion­e di poltrone quali che fossero, e hanno avallato – fino a rivendicar­e come proprie, e probabilme­nte lo sono – le più indecenti espression­i e i diktat del ministro dell’Interno. Avendo imparato da Grillo che un bel casino è lo schermo più sicuro del proprio fallimento. Nel deserto che hanno chiamato terza repubblica, le parole di ragione sono subissate dalle loro urla. Inconsapev­oli (o falsamente ignari) di essere responsabi­li di venirne fuori, ora che il potere tanto reclamato è nelle loro mani. La traversata non sarà breve…

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