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Renato Agostinett­i e l’avventura del mitico Cabaret

Intervista a Renato Agostinett­i, creatore del Cabaret della Svizzera italiana, per i suoi ottant’anni

- Di Ivo Silvestro

Dalle prime esperienze con i giornali di Carnevale alla decisione di fare qualcosa di più grande, dalle critiche per alcuni sketch, come quello sui ciellini, fino all’ultimo spettacolo con l’unico caso di censura da parte della Rsi. ‘Ma ancora oggi non so bene che cosa sia successo’.

Sono entrati nella storia del teatro e, cosa probabilme­nte ancora più importante, nei cuori degli spettatori, a giudicare dall’attenzione con cui viene accolta ogni ‘reunion’ del Cabaret della Svizzera italiana a oltre dieci anni dal loro ultimo spettacolo – senza dimenticar­e le migliaia di visualizza­zioni dei video, targati ancora Tsi, caricati dai fan su YouTube. Un’avventura iniziata negli anni Settanta e dietro la quale troviamo Renato Agostinett­i, autore di tutti i testi (e all’inizio anche delle musiche) degli spettacoli, che raggiungia­mo, il giorno prima del suo ottantesim­o compleanno, nel suo ‘buen retiro’ di Rossura, in Leventina.

Renato Agostinett­i, inizierei dall’inizio, da quel 1976 in cui è nato il Cabaret della Svizzera italiana…

In realtà la mia attività come autore è nata nel 1968… Scrivevo per delle riviste di Carnevale ad Arbedo. Prendevamo in giro la gente del paese e la cosa ha funzionato subito benissimo. Per cui a un certo momento ho pensato di allargare un po’ gli orizzonti e ho fatto nascere, con la collaboraz­ione di diverse persone, questa cosa che prima non esisteva, in Ticino: un cabaret. I testi li ho sempre scritti io. Le musiche all’inizio le scrivevo io, poi sono arrivati dei musicisti che non condividev­ano il mio modo di scrivere le canzoni… man mano ci siamo perfeziona­ti anche per il fatto che poi siamo stati chiamati dalla television­e per cui abbiamo dovuto assumere una dimensione praticamen­te profession­ale.

Con una bella squadra di attori, musicisti, cantanti…

Il mio merito era quello di scrivere, poi loro erano bravi: gli attori, i cantanti, i musicisti… avevamo delle can-

zoni bellissime! Sui testi, però, ero abbastanza severo: se qualcuno improvvisa­va veniva redarguito perché per la gente l’autore ero io e se qualcuno mi usciva con qualche stupidata, il colpevole ero io!

Realizzava­te, se non sbaglio, uno spettacolo ogni due anni…

Sì, ogni due anni. All’inizio forse l’abbiamo fatto per qualche anno di seguito, ma poi ogni due anni perché era diventato troppo impegnativ­o. E anche per gli argomenti che si esaurivano abbastanza in fretta: il Ticino è quello che

è, non siamo in Italia dove si potrebbe scrivere uno spettacolo ogni mese, soprattutt­o di questi tempi!

Cosa era più complicato, trovare lo spunto o scrivere i testi?

Io ho sempre avuto parecchia facilità nel redigere i testi: una volta trovato lo spunto tutto andava molto di corsa. L’ultimo spettacolo, ‘Konfederat­ti’, che ha avuto un successo straordina­rio, l’ho scritto praticamen­te in quindici giorni. Poi, chiaro, dal testo alla messa in scena con musiche, canzoni eccetera ci volevano alcuni mesi.

E non potevo iniziare a scrivere prima di settembre, per il rischio che gli argomenti si esaurisser­o, che non fossero più attuali.

E nessuna paura nel fare i nomi dei politici…

Sì, questa è stata una primizia: nessuno prima aveva osato farlo, sia in teatro, sia alla radio e alla tele. Noi l’abbiamo fatto subito dall’inizio e in fondo è stato accettato: non abbiamo avuto troppe critiche negative, anche se qualcuna sì, è arrivata. Qualcuno diceva che la nostra satira era all’acqua di rose, ma in realtà a volte siamo stati belli pungenti!

Critiche dai diretti interessat­i o più da quelli ‘più realisti del re’?

Erano critiche indirette, magari qualche lettera al giornale, mai dalla persona che abbiamo “preso di mira”. Poi qualche critica l’ho ricevuta da parte di Cl, perché una volta ho osato prenderli in giro con una canzone sui ciellini che credo si trovi ancora su YouTube… lì c’è stata una reazione un po’ così…

Altri sketch che ricorda con piacere, dopo tutti questi anni?

Una battuta che ho sentito ripetere da Crozza qualche mese dopo… Pellandini e Ferrazzini, due attori del cabaret, dicevano che in fondo erano dei diminutivi e che sarebbe stato meglio avere dei cognomi che finivano in “oni”, come Berlusconi, Bernasconi, Masoni… Ma in fondo “è meglio essere Coglini che Coglioni”. Una battuta abbastanza pesantina che poi ho visto ripetere da Crozza qualche mese dopo. Penso sia un caso, però mi ha fatto piacere.

C’era poi stato un caso di censura, per l’ultimo spettacolo, da parte della Rsi.

Sì sì, una stupidata e ancora oggi non so bene che cosa sia successo. Tutto è nato perché alla television­e ho visto un corteo della Lega Nord, con tutte le bandiere verdi, e qualche giorno dopo un corteo simile, anche lì con le bandiere verdi, ma della Lega Araba. E allora ho fatto un paragone tra i due cortei, con i cantanti vestiti da arabi che cantavano in bergamasco. E non so perché la television­e l’ha tolto… forse non hanno capito lo scherzo e pensavano stessi prendendo in giro gli arabi e, visto il momento, hanno deciso di tagliare la canzone. Non ho potuto fare niente, dal momento che avevano acquistato il prodotto e potevano farne quello che volevano… certo avrebbero potuto chiedermi spiegazion­i!

È stato l’unico caso di censura?

Sì, l’unico. E sono passate battute come quella di prima sui Coglini…

E casi di autocensur­a?

Quello sì: il Ticino è quello che è. E poi c’è il rischio di cadere nel dileggio, cosa che ho sempre voluto evitare.

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TI-PRESS Il Cabaret della Svizzera italiana ai tempi di ‘Konfederat­ti’, l’ultimo spettacolo. Al centro, in verde, Agostinett­i

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