Lo ‘Stato-Nazione del Popolo ebraico’
Segue da pagina 10 (...) il 21 dicembre 2017, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, reagendo alla suddetta dichiarazione di Trump, ha votato a larga maggioranza, tanto per salvare ancora una volta la faccia, contro la trasformazione di Gerusalemme in capitale di Israele. Bisogna battere sul ferro finché è caldo, avrà pensato giustamente Beniamino. E ha promosso le riforme legislative e costituzionali in base alle quali – fatto unico nel mondo contemporaneo e nella storia – lo Stato di Israele diventa, in modo ancora più chiaro, lo “Stato-Nazione del popolo ebraico”. Il che significa che la qualità di cittadino israeliano presuppone l’apparte- nenza al popolo ebraico. E per “popolo ebraico” non si intende “popolo” nel senso che attribuiscono a questa parola le nazioni europee, o ispirate al modello europeo, contemporanee, per le quali la cittadinanza è fondata su un legame “attuale” (non risalente a duemila anni fa) di un popolo a un territorio, oltre che (con le dovute eccezioni), a una lingua, a una storia ed a una cultura comuni; in genere, ma nel rispetto della libertà di coscienza il popolo in questione ha una o più religioni comuni e appartiene a un’etnia comune o a più etnie determinate. La qualità di “cittadino” (non più “suddito”) di uno Stato si acquista grazie alla discendenza in linea diretta da un cittadino del medesimo Stato (“ius sanguinis”), per lo più per via paterna, oppure, in certi Stati, per il fatto di essere nato nel suo territorio (“ius soli”). Uno straniero può acquisire la cittadinanza del Paese in cui risiede dopo un determinato periodo di residenza ed una apposita procedura. Con la Rivoluzione francese e Napoleone, l’avvento dei regimi liberali in Europa nel corso del XIX secolo, gli ebrei furono parificati agli altri cittadini dei Paesi in cui risiedevano. Permanevano tuttavia nelle popolazioni forti tendenze antisemite, che hanno alimentato la nascita del movimento sionista. Per un altro verso gli ebrei, anche se usufruivano ed usufruiscono della parità di diritti con gli altri cittadini del loro Stato di residenza, continuano a mantenere il loro sradicamento e la loro separatezza religiosa, etnica e morale verso noi “gentili”; per duemila anni hanno continuato a suggellare la loro Pasqua con l’augurio: “L’anno prossimo a Gerusalemme!”. Ne hanno pienamente diritto, in un regime liberale, che per sua natura prescinde dall’appartenenza religiosa e non può accettare che tale da appartenenza derivino differenze di trattamento quanto ai diritti fondamentali del cittadino. Ciò accade in Israele, già per il fatto di autodefinirsi “Stato-Nazione del popolo ebraico”. Chi appartiene al popolo ebraico, secondo i testi religiosi dell’ebraismo? Chi è figlio di madre ebrea, oppure chi si converte alla religione ebraica. Sul secondo punto è noto che gli ebrei non fanno opera di proselitismo. È evidente che questo concetto di “Stato-Nazione del popolo ebraico” discrimina pesantemente gli abitanti non ebrei del territorio dello Stato e incoraggia implicitamente i cittadini di questo Stato e le sue autorità politiche a perseguire politiche miranti all’espulsione dei non ebrei dal territorio statale. Per rendersi conto di tali separatezza e discriminazioni, basta ricordare la nostra Costituzione svizzera, all’articolo 8 (Uguaglianza giuridica), che espone un principio comune a tutte le costituzioni rispettose dello stato di diritto: “Tutti sono uguali davanti alla legge. Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche...”.