Il prigioniero Lula candidato ufficiale
Brasilia – Mettendo fine a settimane di incertezza, il Partito dei lavoratori (Pt) ha ufficializzato sabato a San Paolo che l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva sarà il suo candidato per le presidenziali del 7 ottobre. L’annuncio è stato fatto dalla presidente del Pt, Gleisi Hoffmann, durante una ‘Convention’ di dirigenti e militanti del partito ‘Casa de Portugal’. L’ex tornitore meccanico è stato un candidato permanente nelle elezioni presidenziali brasiliane, perdendo tre volte (1989, 1994 e 1998) e vincendo le due successive (2002 e 2006). Nel 2010 e 2014 la vittoria invece andò a Dilma Rousseff, scelta da Lula per succedergli. In tweet inviati dal carcere di Curitiba, dove è recluso dal 7 aprile per una condanna a 12 anni ed un mese per corruzione, l’ex presidente ha ricordato che “è la prima volta in 38 anni che non parteciperò a un incontro nazionale del Pt”. Loro, riferendosi al governo del presidente Michel Temer ed ai giudici dell’operazione ‘Lava Jato’ di cui si sente vittima innocente, “vogliono una elezione con risultato scontato”, ed “hanno estromesso una presidente eletta (Rousseff) e ora vogliono proibire di presentarsi al candidato che è avanti nei sondaggi”. Da mesi i sondaggisti indicano che Lula è il favorito, con una media del 30% di consensi, seguito dall’ex capitano Jair Bolsonaro, fautore della dittatura e dell’uso delle forze armate per la lotta alla delinquenza e alla corruzione. Per trasformare in realtà il sogno della partecipazione di Lula alle presidenziali, il Pt ha mobilitato l’opinione pubblica nazionale. Decine di artisti si sono riuniti in un concerto a Rio de Janeiro, una ‘Carovana contro la fame’ gira il Brasile e sei militanti hanno iniziato uno sciopero della fame per appoggiarlo. Tutti convergeranno il 15 agosto a Brasilia quando il Tribunale supremo elettorale (Tse) dirà se il candidato-detenuto potrà aspirare o meno alla successione di Temer. Ma gli analisti considerano che il Tse non farà sconti a Lula e applicherà rigorosamente la legge che esclude da incarichi pubblici chi ha condanne in secondo grado. Resterà quindi ai suoi legali l’ultima carta: un ricorso alla Corte suprema.