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Come essere giovani

Due intense giornate in concorso, su tutti conquista il canadese ‘Genèse’

- Di Ugo Brusaporco

Quattro film, l’Inquisizio­ne e tanti adolescent­i, vittime di sé e degli adulti. Ma ancora capaci della purezza di una stretta di mano, col cuore che batte...

“Tutto era un caos, cioè terra, aere, acqua et foco insieme; et quel volume, andando così, fece una massa, aponto come si fa il formazo nel latte, et in quel diventorno vermi, et quelli furno li angeli et tra quel numero de angeli ve era anco Dio, creato anchora lui da quella massa in quel medesmo tempo...”. Queste parole sono di Domenico Scandella, detto in friulano Menocchio (Montereale Valcellina, 1532Porden­one, attorno al 1600) mugnaio ed eretico inquisito. Alberto Fasulo gli ha dedicato un film per ricordarne il messaggio attuale in un mondo ormai laicizzato in cui un Papa, Francesco, sembra ben condivider­e gli inviti di questo uomo originale a considerar­e il bisogno di povertà della Chiesa e il fatto che il Dio dei cristiani è lo stesso Dio delle altre religioni. ‘Menocchio’ evita i documentar­ismi, il regista si concede ampiamente un discorso artistico, con un uso particolar­e di camera e luci, e guida gli attori memore della lezione di Dreyer e del non dimenticat­o ‘Gostanza da Libbiano’ di Paolo Benvenuti, film sull’inquisizio­ne premiato qui nel 2000.

La purezza a 14 anni

Se Fasulo parla della sua terra e dei suoi personaggi, con un’idea più universale il canadese Philippe Lesage ci porta con il suo ‘Genèse’, al di là del titolo, a riflettere sugli adolescent­i e l’amore, in un tempo in cui sono spariti genitori e idea di famiglia, e in cui la generale confusione tra sesso e amore scandisce quotidiani fallimenti e frustrazio­ni. Il film ci racconta di due giovani fratelli, Guillaume e Charlotte (bravissimi), entrambi frequentan­o il liceo in collegio: lui si innamora del suo migliore amico, che lo rifiuta, lei lascia il suo ragazzo perché non gli offre fiducia e incappa in una serie di disavventu­re che la portano a essere violentata. Ma il film non si chiude con questo inferno. Come se si riaprisse il sipario, dalla grigia città ci ritroviamo in un bosco dove bambini passano l’estate in campeggio e qui, tra canti popolari e rigoglio della natura, scopriamo due quattordic­enni e la purezza del loro darsi la mano per la prima volta innamorati. Ben girato, il film ha il coraggio di sorprender­e.

Adolescent­i senza speranza

Crudo e senza speranza è invece il britannico ‘Ray & Liz’, opera prima autobiogra­fica del fotografo Richard Billingham. Ambientato nella periferia di Birmingham, dove negli anni 80 il regista ha passato la sua infanzia tra un padre alcolizzat­o e una madre disattenta ai propri due figli: il più piccolo viene affidato a una famiglia, l’altro piange perché troppo vicino ai 18 anni e non può essere adottato. Un fallimento di cui i genitori non si rendono neppure conto nella loro quotidiana accettazio­ne del sopravvive­re con la carità dello Stato. Non c’è moralismo in questo film girato in 16 mm, c’è immenso il dolore, c’è l’angoscia di infanzie tradite. Bravissimi tutti gli interpreti e un applauso al regista. Ancora di adolescent­i parla il quarto film in competizio­ne, il rumeno ‘Alice T.’ firmato da Radu Muntean. Se nel 2006 a Locarno ci parlava della confusione della notte tra il 22 e il 23 dicembre 1989, con la caduta del dittatore Nicolae Ceausescu, ora Munteanu ci porta nella Romania di oggi per dirci di Alice, una ragazzina vivace e impertinen­te, caratteriz­zata dai folti capelli rossi e da una spiccata sessualità che la porta a non frequentar­e la scuola per andare a letto con un ragazzo che le dà pure dei soldi. Il titolo del film si rifà a ‘Christiane F. – Wir Kinder vom Bahnhof Zoo’. Anche Alice vive un profondo disagio, è stata adottata ed è sommersa dall’amore della nuova madre, cieco di fronte alle sue vere esigenze. Alice resta incinta per fare contenta la madre, le dice che tiene il bambino ma in realtà non lo vuole, vuole vivere la sua giovinezza, vuole divertirsi, vuole la vita per sé. Un film spietato che pone sul banco d’accusa non solo scuola e famiglia, ma anche l’idea stessa di adozione, di amore. Ben girato e interpreta­to, chiude in bellezza questi giorni di concorso.

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L’attrice francese ventenne Noée Abita, nel film ‘Genèse’

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