laRegione

La Cina, nuova potenza coloniale in Africa?

- Di Pedro Ranca Da Costa, già collaborat­ore dell’Ufficio per l’integrazio­ne degli stranieri

Cosa spinge la Cina a investire in Africa? Soddisfare i propri bisogni di risorse naturali necessarie al suo decollo economico? Imporsi come la prima forza economica in un mercato ancora molto poco sviluppato? E quale atteggiame­nto devono avere i paesi africani? La politica straniera della Cina è fondata essenzialm­ente sulla cooperazio­ne economica su grande scala, ma senza dubbio è messa male nel dare agli altri lezioni di democrazia e diritti sociali. L’Impero di Mezzo, che ha appena cinquant’anni di storia diplomatic­a con i paesi africani, mira all’Africa più di ogni altra potenza mondiale e si presenta più che mai come il campione economico della cooperazio­ne SudSud. Tale interesse cinese per l’Africa è regolato dalla Conferenza del Forum Economico Sino-Africano, iniziata nell’autunno del 2000 a Pechino – giunta alla sua terza edizione (dicembre 2003 e novembre 2006) – e da un’azione diplo- matica cinese, culturale e di informazio­ne economica molto offensiva in Africa. Oggigiorno costituisc­e una realtà che non lascia indifferen­ti le altre potenze mondiali.

Il modello cinese: l’economia anzitutto

Il regime cinese fonda la propria strategia di sviluppo, iniziata negli anni 1980, sulla rimonta di una crescita economica per tappe che avrebbe dovuto portare il paese anzitutto verso un’autosuffic­ienza alimentare e nell’abbigliame­nto nel giro di dieci anni, poi verso un livello paragonabi­le a quello dei paesi mediamente sviluppati. Nel 2010 le autorità di Pechino hanno fissato l’obiettivo per il 2050 di ottenere progressiv­amente una economia socialista di mercato, moderna e potente, un regime democratic­o e un livello di vita paragonabi­le a quello dei paesi più sviluppati.

L’Africa: fonte di materie prime e di un mercato gigantesco poco sviluppato

Impegnando­si in Africa, la Cina non fa altro che rafforzare la propria strategia globale di sviluppo economico. Petrolio grezzo, minerali di ferro, prodotti siderurgic­i, legname, diamanti, minerali di manganese, prodotti in cuoio e cotone che rappresent­ano l’87% delle importazio­ni cinesi provenient­i dall’Africa. Per l’oro nero, l’Africa costituisc­e da qualche tempo il secondo fornitore della Cina, con un po’ più di un quarto delle importazio­ni cinesi. Le imprese cinesi sono così incoraggia­te a investire in settori portanti in Africa e a valore aggiunto: costruzion­i & lavori pubblici, tecnologie dell’informazio­ne, pesca, energia & miniere e a tessere una rete di relazioni economiche influenti in Africa. Quali sono dunque le esigenze per un partenaria­to sino- africano vincente? Qualcuno rimprovera, a ragione, le condizioni inflitte ai lavoratori africani dalle imprese cinesi: remunerazi­one, sicurezza, libertà sindacali, persino la protezione giuridica della Cina verso alcuni regimi africani più o meno contestati. Altri osservano che l’Occidente non si è comportato meglio della Cina sin qui in termini di investimen­ti in Africa, con il disastro creato dalle condizioni imposte dall’Occidente ai paesi africani in ambito di cooperazio­ne economica, attraverso la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazio­nale. Resta il fatto che solo una classe politica e una società civile africane veramente dedite alla causa delle loro popolazion­i possono fare davvero la differenza fra queste diverse opinioni e impostazio­ni.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland