La rivoluzione fuori dagli schermi
Il cinema è un oggetto complesso e, a volte, per comprendere il senso di un film occorre guardare non solo quello che avviene sullo schermo, ma anche quello che avviene davanti allo schermo, durante e dopo la proiezione. Perché i festival cinematografici, se ci si pensa, sono una cerimonia di passaggio: il film passa dalle mani del regista a quelle del pubblico. E scrivo “mani” perché questo passaggio si manifesta, innanzitutto, con gli applausi finali. Quelli di circostanza, che si estinguono in pochi istanti con gli spettatori che, a mani ancora battenti, si alzano per abbandonare al più presto la sala; quelli lunghi, sinceri e sentiti, accompagnati da commenti di approvazione. E l’ovazione, con il pubblico che, se si alza in piedi, non è per uscire, ma per l’entusiasmo. Un’accoglienza che, qui a Locarno, ho visto riservata, in particolare, a due film, il Fuori concorso ‘Ora e sempre riprendiamoci la vita’ di Silvano Agosti e, nella Semaine de la critique, ‘#Female Pleasure’ di Barbara Miller. Non a caso entrambi hanno avuto varie proiezioni supplementari (per il film di Miller ce ne sarà una domani alle 11 al Rialto 1). Due documentari – non film di finzione; quasi una rivincita della realtà – per certi versi molto distanti l’uno dall’altro: se il primo guarda all’Italia del passato, ricostruendo attraverso interviste e filmati d’epoca i dieci anni che vanno dal ’68 all’omicidio di Aldo Moro e raccontando le lotte studentesche e operaie, gli scontri con le autorità e soprattutto gli ideali che hanno animato quel decennio, il secondo guarda invece al presente e al futuro attraverso le storie di cinque donne che, in parti diverse del mondo, hanno sfidato la società patriarcale affermando il valore del proprio corpo e della propria sessualità, lottando contro le mutilazioni genitali femminili, la cultura dello stupro e della donna-oggetto, il fondamentalismo religioso. A unire i due film – oltre al fatto, non trascurabile come si dirà, che la liberazione sessuale fu una delle battaglie del ’68 –, vi è l’idea di fondo che la libertà, per essere autentica, non deve guardare solo al singolo, ma accompagnarsi al rispetto e alla solidarietà verso gli altri. Oltre alla necessità di rompere qualche tabù, ancor meglio se religioso. La prima cosa che ci racconta l’entusiasmo manifestato dal pubblico locarnese verso questi due documentari è, appunto, che c’è ancora gente che crede in questa idea di libertà che, senza voler cadere nella facile nostalgia per i tempi andati, non sembra godere di grande popolarità in un’epoca di chiusura come quella attuale, nella quale è sempre più difficile passare da “io” a “noi”– e su questo tema è da segnalare anche l’intenso ‘Eldorado’ di Markus Imhoof che rappresenterà la Svizzera agli Oscar. Ma c’è dell’altro. Come detto, un film guarda al passato, l’altro al presente. Difficile non chiedersi che cosa sia successo, in mezzo. Perché le rivendicazioni delle cinque protagoniste di ‘#Female Pleasure’ sono la riproposizione, per quanto non identica, delle rivendicazioni femministe che troviamo nel documentario di Agosti. Una riproposizione, a cinquant’anni di distanza, che deve interrogarci sull’effimerità di conquiste che sembravano definitivamente acquisite. Detta un po’ semplicisticamente: perché quelli che nel documentario di Agosti vediamo marciare per un mondo migliore oggi votano partiti e movimenti xenofobi e sovranisti? Ma, soprattutto, come evitare che tutto ciò riaccada e che, tra cinquant’anni, a Locarno passi un documentario sul movimento #MeToo insieme a un film sull’oppressione delle donne?