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Fame e scienza, per il ritorno del mammut

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Quando Semyon Grigoriev ha visto sgorgare del sangue da quella creatura, sottratta ai ghiacci dopo 39mila anni, ha capito di trovarsi di fronte a qualcosa di epocale. Mai prima di quel giorno, nel 2013, era stato trovato un mammut così ben conservato – pelo, ossa, zanne, carne e sangue –, punto di partenza per la possibile rinascita in laboratori­o di una specie estinta da oltre 3’000 anni. È questo lo spunto da cui Christian Frei (con Maxim Arbugaev) è partito per il suo ‘Genesis 2.0’, presentato ieri in Panorama Suisse, e già premiato fra gli altri al Sundance Festival. Intessendo preistoria e scenari futuristic­i, il regista svizzero segue in modo splendido, sui diversi piani umani su cui si consuma, l’odierna, estrema, suggestiva caccia al mammut. Quella condotta dai più umili abitanti del Nord-Est Russia, che ogni anno s’imbarcano in un viaggio pieno di speranza e di insidie verso le disabitate isole della Nuova Siberia, altrove da cui dissotterr­are a mani nude, con pochi attrezzi, le zanne di mammut ricercate dai mercanti cinesi. Quella di Grigoriev, paleontolo­go con un fratello cacciatore di zanne, che sogna di far rivivere il mammut, il cui spirito è ancora temuto dal popolo. In questo viaggio Frei approda anche in Corea del Sud, nel laboratori­o del controvers­o Hwang WooSuk in cui ogni anno si clonano decine di animali ed è iniziata la ricerca di una cellula vivente di mammut, o a Shenzhen in Cina, nel BGI, dove si vuole tracciare il genoma di ogni essere vivente. Fra slanci della scienza, enigmi morali e l’atavico rispetto siberiano verso il grande animale, una caccia suggestiva destinata a terminare solo con la prima nascita di un piccolo mammut da una elefantess­a. CLO

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‘Genesis 2.0’

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