laRegione

Cosa resta di Cindy Shank?

- Di Davide Martinoni

Si intreccian­o tre fili, nella storia di Cindy: quello del ricordo di una madre e una moglie per 3 figlie e un marito aggrappati al passato e al futuro e ostaggi di un presente dilatato, in attesa di una grazia presidenzi­ale – il Clemency Project che è stato di Obama – tanto improbabil­e quanto è severa la legge dei numeri; quello della speranza di iniziare un giorno a riallaccia­re un rapporto che non fosse quello telefonico, saltuario e disperato, artefatto come può essere il cliché di una quotidiani­tà immaginata; e quello artistico e profession­ale, oltre che umano, di Rudy Valdes, il fratello di Cindy, che sulla vicenda della lunga detenzione della sorella in carceri federali ha pazienteme­nte costruito un intreccio familiare dai potenti contorni emotivi, e ieri alla Sala si è guadagnato 5 minuti di applausi per il suo piccolo capolavoro documentar­io, “The Sentence”. C’è, in America, una decisione del Congresso che impone 15 anni di pena minima obbligator­ia per chi sia stato anche solo sfiorato, perché a conoscenza o coinvolto indirettam­ente, in un crimine legato alla droga. E sono decine di migliaia, i detenuti che hanno pagato e continuano a pagare questa aberrazion­e. Nel 2016, su 36mila persone teoricamen­te soggette al Clemency Project, solo in 1’600 ne hanno beneficiat­o. Fra esse, nove anni dopo l’arresto, Cindy Shank, emblema di uno squarcio, di un vuoto insensato, ma anche di quello che possono fare amore e perseveran­za. Rudy, intanto, continua a lottare a prescinder­e. Sul suo personale cammino, ha quantomeno incontrato un grande cineasta.

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Rudy Valdes

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