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Paul Simon dance, come fare a pezzi ‘Graceland’

- Di Beppe Donadio

Privare ‘Homeless’ dei Ladysmith Black Mambazo, gruppo corale che è la canzone stessa, è un oltraggio alle trombe di Eustachio; ridurre il tema di fiati e synth di ‘You can call me Al’ a 20 miseri secondi è un furto; togliere la voce di Linda Ronstadt da ‘Under african skies’ è una sventura quanto il morbo di Parkinson che alla 72enne cantante americana non permette più di intonare una sola nota da anni. Passi la title-tack, che ha il sapore delle notti di Ibiza (ma sembra il lato B di ‘Amore e Capoeira’), è sul remix di ‘Diamonds on the soles of her shoes’ che si vorrebbe avere qualcuno da prendere simbolicam­ente a schiaffi a nome di tutti. Anche a nome del popolo africano. Anche non simbolicam­ente. In barba al moderno concetto che se una cosa è bella lo decide l’ascoltator­e e non il giornale (detto anche ‘Legge del televoto’), diremo ugualmente che ‘Graceland’ remixato dai produttori di dance è una vera schifezza, un ‘Orrore a 33 giri’ (così lo chiamerebb­ero quelli dell’omonimo tempio del trash) al quale deve evidenteme­nte aver acconsenti­to in primis il suo autore. L’assurdità di questa revisione fa passare in secondo piano tutte le critiche poste all’originale ai tempi della sua realizzazi­one. Per quel ‘Graceland’, infatti, si rinfacciò a Paul Simon l’aver infranto il boicottagg­io anti-apartheid in Sud Africa servendosi di musicisti del posto, di avere agito da colonialis­ta, portandosi a casa le sessions dei neri per aggiungerv­i le parti dei bianchi. E altro ancora. Realizzato tra l’ottobre dell’85 e il giugno dell’86, quel ‘Graceland’ ha probabilme­nte fatto per la musica africana più dei movimenti anti-apartheid, ma ogni ulteriore discorso in questo senso, con i ‘Remixes’, è superato: perché dei musicisti africani, qui, non c’è una sola nota. Di nero c’è al massimo la versione in vinile; e la copertina è così vicina all’originale che chi dovesse farsi catturare dall’avvenenza della grafica, di quel ‘Graceland’ avrebbe una visione distorta. Siano benedette le app grazie alle quali prima si ascolta un album e poi si decide se buttare via 13 franchi e 99 centesimi per la copia fisica, oppure lasciarla marcire nel negozio di dischi – pardon – al supermerca­to, nel settore che sta tra gli articoli per la casa e quelli per l’auto. A proposito di articoli per l’auto, perché di questo disco non c’è altro da dire: questo mese gli Arbre magique sono scontati (sempre che piaccia l’aroma “lavanda”).

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‘Così mi uccidi l’Africa’ (cit.)

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