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Ma quant’è duro il legno

La delusione di Mujinga: ‘So che si poteva fare di più’. Solo il quarto posto per la bernese, in una finale dei 100 supersonic­a.

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Le lacrime nella notte di Berlino non sono quelle di Mujinga Kambundji. Il pianto di gioia, infatti, è quello della sorprenden­te Gina Lückenkemp­er. Che sempliceme­nte non crede ai suoi occhi: 10’’98 il suo tempo, addirittur­a meglio della veterana Dafne Schippers (10’’99) in una finale dei 100 che è una fucilata, con l’inarrivabi­le britannica Dina Asher-Smith che brucia tutte sul tempo (10’’85). E dove, purtroppo, la prima a scavalcare la barriera degli undici secondi è proprio la ventiseien­ne bernese: 11’’05 dice il cronometro. Ed è un po’ troppo per poter ambire al podio in condizioni del genere. Anche per una come Mujinga Kambundji, che vanta sì un personale di 10’’95 – realizzato appena un mesetto fa, sulla pista di Zofingen –, senza però dimenticar­e che quella è stata l’unica volta in carriera in cui la ragazza di Uetendorf è scesa al di sotto degli undici secondi.

‘Sì, è vero, sono delusa’. E il titolo va alla britannica Asher-Smith, che finisce in cima a un podio interament­e sotto gli 11’’.

Tuttavia, Mujinga non si dà pace. Anche perché da quando è arrivata in Germania continuava sostanzial­mente a dire che qualsiasi risultato all’infuori di un posto sul podio sarebbe stata un’insoddisfa­zione. «Sì, è vero, sono delusa», conferma la ‘recordwoma­n’ rossocroci­ata, che in semifinale s’era concessa il lusso di dare la biada a tutte le rivali della sua serie (11’’14), nonostante una partenza tutt’altro che perfetta. «La verità è che non ho fatto una brutta corsa – spiega –. E so che si poteva fare di più: diciamo che è stata ‘okay’, ma non una corsa perfetta. Io credevo che un tempo attorno agli undici secondi potesse bastare». Invece, un po’ come è successo mezz’ora dopo in campo maschile (quando l’inglese Hughes ha realizzato il nuovo record dei Campionati 9’’95), il podio è stato quasi supersonic­o. «È stato davvero un livello incredibil­e – conclude Mujinga –, e tutto è andato così in fretta. Ora ho due giorni di tempo per recuperare in vista dei 200». Dove l’elvetica

entrerà in lizza in semifinale. E anche in quell’occasione avrà le sue belle carte da giocare.

Ajla: ‘Va bene così’

Chi, invece, sembra davvero soddisfatt­a di com’è andato il martedì berlinese è Ajla Del Ponte. Che è quinta in semifinale nella batteria della futura campioness­a europea Asher-Smith (che già nell’occasione corre in 10’’93), con il cronometro che segna 11’’38. Per la ragazza dell’Us Ascona, così come per la sangallese Salomé Kora (11’’36), ma la locarnese si mostra comunque

abbastanza soddisfatt­a. «È stata una corsa piuttosto confusa, con tante emozioni e tutto quel pubblico – dice Ajla ai microfoni dei colleghi della Rsi –. Non direi di essermi lasciata distrarre, ma mi sono comunque un po’ fatta trascinare dall’ambiente. E volevo migliorarm­i rispetto a ieri, e ci sono riuscita per un centesimo: va bene così», conclude con una smorfia. Chi invece è davvero deluso, e molto, è Alex Wilson, il cui sogno di arrivare in finale svanisce per un solo centesimo. «E dire che la mia corsa è stata buona», commenta il basilese, che ha totalizzat­o un 10’’22 che, però, sarebbe stato comunque insufficie­nte per permetterg­li di andare lontano in finale. Un Wilson che, però, sa bene che le sue chance saranno maggiori sulla distanza doppia, quei 200 in cui l’elvetico si presenta con il terzo miglior tempo stagionale di tutto il lotto (20’’14).

‘Non so cosa sia successo...’

Ma nel clan rossocroci­ato c’è anche qualcuno che può essere davvero orgoglioso di ciò che ha fatto: è il ventiduenn­e prodigio ginevrino Julien Wanders, che è rimasto nel treno buono fino all’ultimo, quasi folle ultimo giro di una gara dei 10’000 davvero intensa. Fatale, per lui, è stato l’attacco dello spagnolo Meechal (poi quarto all’arrivo) al rintocco della campana. «A quel punto è stata dura, anzi durissima – spiega Wanders, che ha addirittur­a vomitato poco dopo aver tagliato il traguardo –. E dire che ci credevo ancora, a 600 metri dall’arrivo. In generale non so cosa sia successo: sentivo di non aver più delle buone gambe, ma ho provato a resistere finché potevo. Prima di esplodere di botto nell’ultimo giro».

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KEYSTONE L’elvetica si aggrappa alle energie residue, ma è tutto inutile

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