Andreas Meyer come Marchionne
Folclore a parte, il dibattito sulle Officine ha un senso. È però inutile consolarsi con una mentalità superata dai tempi. Perché i sistemi della produzione e della contrattazione politica hanno già deposto la mentalità datata. Profetizzo che le Officine resteranno in Ticino e a Bellinzona (Castione, che è lo stesso). Questa è una vittoria politica, ma resterà l’unica! Le Ffs prima del 2008 avevano infatti quasi svelato il ritiro della manutenzione dal Ticino. Chiaro che la loro forza è il sistema aziendale con tutti i crismi tecnici di funzione e innovazione continua. Sono impresa industriale a tutti gli effetti: il concetto di servizio collettivo delle vecchie regie federali è stato metabolizzato nei canoni del massimamente funzionale: non c’è differenza alcuna fra una grande impresa capitalistica e le ex regie, se non minimissima e formale. Il “prendere o lasciare” di Marchionne per mantenere una parte della Fiat è stato uno degli ultimi dolori del movimento operaio italiano già in agonia. Questione di forza. Lo stesso dicasi per la nostra storia Ticino e Ffs. Il liberismo che ha contaminato i servizi dello Stato ha sorpreso il popolo di sinistra quando il fatto era in parte compiuto e approvato democraticamente. Inevitabile? Purtroppo forse. Mai il “purtroppo” e il “forse” che lo scrivente qui mette appartengono a un senno di poi “inutile”. Sono convinto delle tre osservazioni seguenti. Tanto inamovibili quanto irrealistiche le pretese dei dipendenti del mantenimento quasi tout court. Fuori gioco le pretese del dislocamento nella Leventina (perché sbottare ora e non nel 2008 e in seno a quale vera cultura dello scambio città-periferia?). È in parte falsa l’idea che il Ticino resta economicamente ancora a rimorchio del resto del Paese (CdT, 4.8.2018, p.4).
Roberto Kufahl, Torre-Blenio