Una mano per la Grande isola
Un’esperienza intensa in una scuola che, in un Paese che tra corruzione e ineguaglianze sociali ed economiche fatica a trovare la propria strada, offre un futuro a un migliaio di bambini
Il nostro viaggio inizia il 9 luglio a Malpensa, quando alle 21.15 ci imbarchiamo sul primo volo che, dopo lo scalo ad Addis Abeba, ci porterà all’aeroporto di Antananarivo, capitale del Madagascar. Il gruppo è ampio: venti giovani ticinesi tra studenti e lavoratori guidati dall’assistenze pastorale giovanile don Rolando Leo. Nella sala ritiro bagagli dell’aeroporto ci attendono due suore carmelitane che ci offrono il primo caloroso benvenuto nella Grande isola. Una di loro è suor Maria degli Angeli, ticinese di origine che all’età di diciotto anni decise di lasciare Sementina per sposare la vocazione religiosa e missionaria. In Madagascar dal 1984, suor Maria si occupa dell’organizzazione della scuola Sainte Thérèse nel quartiere di Ilanivato, in una delle zone più povere della capitale. La nostra missione si svolge proprio in questo edificio, dove abbiamo il compito di affiancare per tre settimane i docenti durante le lezioni, di presentare delle pièces teatrali e di organizzare l’animazione per i ragazzi. La scuola garantisce l’istruzione a millecinquecento bambini, tra i 4 e i 15 anni, dando loro un’istruzione completa: la speranza in un futuro. Purtroppo sono molti i ragazzi che, al di fuori delle mura di cinta della scuola, non hanno accesso a questo privilegio. Oltre all’istituto scolastico, la struttura dispone di un dispensario medico e di una scuola di sartoria che aiuta le ragazze senza titolo di studio. Il tasso di analfabetizzazione, infatti, è ancora molto alto in Madagascar, degli oltre 19 milioni di abitanti, solo il 65 per cento sa leggere e scrivere, a testimonianza delle difficoltà postcoloniali che ancora gravano sul Paese. L’indipendenza conquistata nel 1960 ha posto fine al dominio coloniale francese e allo sfruttamento di risorse naturali iniziato 64 anni prima, ma non ha migliorato le condizioni economiche. La forte corruzione e la distribuzione iniqua delle ricchezze rallentano lo sviluppo del Paese che si trova ancora adesso in gravi difficoltà. Una situazione che abbiamo percepito fin dal nostro arrivo e che ci ha accompagnato per tutto il viaggio: un sentimento di forte disparità fra la popolazione. Le grandi ville protette da muri e filo spinato convivono con piccole case costruite con il fango e il tetto di paglia. La rabbia e l’incredulità aumentano quando, passeggiando sulla strada principale, si vede sfrecciare un lungo corteo di suv neri a sirene spiegate, scortato dalla polizia. Un ministro o un alto funzionario pubblico si sposta in questo modo, in Madagascar.
Accogliendo i ‘vazaha’
La scuola attendeva il nostro arrivo con impazienza e l’accoglienza che i ragazzi ci hanno riservato è stata emozionante.
I balli e i canti tradizionali malgasci hanno caratterizzato il primo contatto con gli allievi; tanto entusiasmo da parte dei più piccoli, più riservati invece i più grandi. Le ore in classe affiancando i docenti, le attività sportive e teatrali ci hanno poi permesso di entrare in confidenza anche con i ragazzi della scuola media. Una familiarità che si è presto trasformata in un vero e proprio scambio culturale tra due mondi completamente diversi. Tanto curiosi quanto entusiasti di poter entrare in contatto con i ‘vazaha’ (‘bianco’ nella lingua locale), ci hanno sommersi di ogni tipo di domanda. Siamo riusciti in questo modo a rompere la loro quotidianità alimentando così la loro fantasia e, sono sicuro, anche i loro sogni. La visita del quartiere, invece, ci ha sensibilizzato sulla povertà con la quale gli allievi convivono una volta passati il cancello e il filo spinato della scuola. Il contrasto è impressionante: le fogne a cielo aperto, i tetti in lamiera e le famiglie intere schiacciate in un locale di tre metri per tre sono la normalità. Disparità che impediscono al Paese di uscire dalla situazione di povertà. L’agricoltura, ancora troppo dipendente dalle condizioni meteorologiche, è la principale fonte di sostentamento del Madagascar, il cui settore industriale fatica a svilupparsi. La maggior parte della popolazione lavora, in un’agricoltura di pura sussistenza, nelle piantagioni di riso, oppure nella costruzione di mattoni d’argilla lungo i corsi d’acqua. Le fragili vie di comunicazione dell’isola e il pessimo sistema stradale complicano, per i piccoli imprenditori, l’esportazione di materie prime. Percorrendo l’arteria principale, che dalla capitale conduce al porto commerciale di Toamasina, vediamo molti camion completamente ribaltati ai bordi della strada.
Scontri e scioperi prima delle elezioni
L’instabilità economica riflette la situazione politica, le crisi si susseguono negli anni post indipendenza senza portare veri miglioramenti. I colpi di stato, le manifestazioni popolari e le elezioni presidenziali si alternano con la cadenza regolare di un circolo vizioso. Proprio durante il nostro soggiorno le imminenti presidenziali, previste per novembre, agitavano la nazione. Protetti dalla scuola di Sainte Thérèse, non abbiamo avuto un contatto diretto con la confusione nella quale si trova il Paese, ma i giornali ci hanno aiutato a fare chiarezza. La nuova legge elettorale, che impone ai candidati di presentare l’elenco delle proprie condanne giudiziarie, sfavorisce il leader dell’opposizione al governo malgascia Marc Ravalomanana. Uno stratagemma politico che ha provocato lo scoppio delle manifestazioni antigovernative lo scorso aprile e che ha spinto i contestatori a scendere in piazza per rivendicare elezioni libere senza intrighi volti a soffocare l’opposizione. Ad aggravare la situazione sono stati i docenti delle scuole pubbliche, in sciopero da maggio per denunciare i miseri salari concessi dal governo e per reclamare migliori condizioni di lavoro. Una situazione che mette a rischio i prossimi esami statali di fine anno scolastico, senza i quali i ragazzi non potranno accedere all’anno successivo. In tutta questa confusione i bambini della scuola di Sainte Thérèse sono protetti. Nonostante le preoccupazioni per un “anno in bianco”, senza la possibilità di sostenere gli esami, la scuola continua a seguire il suo programma: i docenti non scioperano, la mensa offre quello che è per alcuni ragazzi l’unico pasto caldo del giorno e gli allievi sono preparati adeguatamente per gli esami statali. Se ci saranno.