Un Pardo a Singapore
Anche quest’anno il Pardo principale vola a Oriente, ma la giuria non scontenta nessuno, o quasi. Se al termine del 70esimo si era premiato un insostenibile documentario cinese, questa volta si riconosce il lavoro di un regista che prova a raccontare qual
Tutti applauditi i premi di questo Festival numero 71, a cominciare dall’ultimo annunciato del Concorso internazionale, il Pardo d’oro per ‘A Land Imagined’, una coproduzione tra Singapore, Francia e Paesi Bassi diretta con felice mano dal regista singaporiano Yeo Siew Hua. Insieme a ‘Yara’ di Abbas Fahdel, che non risulta nella lista dei premiati scelti dalla Giuria presieduta dal cineasta cinese Jia Zhang-ke, ‘A Land Imagined’ ci era parso il film più accreditato per il Pardo d’oro. Questo perché, in modo diverso, entrambi i film cantano il linguaggio cinematografico, spesso dimenticato da autori attenti più al soggetto che alla sua messa in scena, uno per tutti il pessimo ‘Wintermärchen’ (film impresentabile sui terroristi neonazisti tedeschi). Yeo Siew Hua ha una cura particolare della messa in scena, ha la capacità di rendere l’ambiente intorno alla vicenda protagonista di questa, sa guidare gli attori in modo eccellente e, di più, non ha paura di dare un senso politico al suo dettato: il film racconta dei lavoratori migranti che vengono sfruttati per allargare il piccolo territorio di Singapore, strappandolo alle acque. E fa questo senza mai allontanarsi da un’idea straordinaria di fiction, debitrice solo in parte alle atmosfere di ‘Blade Runner’.
Che cosa vuol dire interpretare?
La Giuria, di cui facevano parte anche lo scrittore francese Emmanuel Carrère, il cineasta statunitense Sean Baker, la regista italo-austriaca Tizza Covi e l’attrice italiana Isabella Ragonese, scelta la strada di ‘A Land Imagined’, non poteva certo abbandonarla completamente per il film di Abbas Fahdel, una storia d’amore inserita in una idea fortemente classica del documentario, preferendole un film (questo sì documentario) certamente meno classico qual è ‘M’ di Yolande Zauberman, Premio speciale della giuria, un film capace di inquietare parlando della pedofilia nel mondo ortodosso dello Stato ebraico israeliano. Il Pardo per la miglior regia alla cilena Dominga Sotomayor per il suo ‘Tarde para morir joven’ premia l’impegno di una giovane regista che, portando sullo schermo un ricordo della sua infanzia, non perde l’occasione per far ripensare
a un mondo che ha rinunciato ad avere ideali. Il film mostra anche le difficoltà economiche che vive il cinema d’autore, infatti è una coproduzione tra Cile, Brasile, Argentina, Paesi Bassi e Qatar. Non ci convince il Pardo per la miglior interpretazione femminile alla giovanissima Andra Guti, protagonista di ‘Alice T.’ del bravissimo rumeno Radu Muntean. Pur pensandolo in prospettiva, la ragazza non ha certo interpretato, non avendo esperienza, ma è stata guidata dal regista; interpretare vuol dire qualcosa d’altro, ciò che fanno benissimo Mary Kay Place in ‘Diane’ di Kent Jones, o Luna Kwok nel film vincitore del Pardo d’oro. C’è quindi in questa decisione
qualcosa che sta confondendo il mondo del cinema.
I film non si valutano a lunghezza
Di altro rilievo è il Pardo per la miglior interpretazione maschile a Ki Joobong per ‘Gangbyun Hotel’ (Hotel by the River) di Hong Sangsoo, un significativo riconoscimento per questo attore conosciutissimo per la sua carriera in Corea del Sud. La Menzione speciale a ‘Ray & Liz’ di Richard Billingham, infine, ci riporta a quel cinema sociale inglese, nato dal teatro di John Osborne e nobilitato al cinema da vari autori a cui si aggiunge ora questo fotografo capace
di guardare alla sua storia per renderla universale. La Giuria non ha tenuto conto del film di Mariano Llinás ‘La Flor’ (quello di 14 ore), nonostante l’impegno del direttore artistico nel promuoverlo, dimostrando così di non considerare i film a peso o lunghezza, ma per il loro valore cinematografico. Ed è quello che ha fatto anche la Giuria del Concorso Cineasti del presente, assegnando il Pardo d’oro a un film, ‘Chaos’ di Sara Fattahi, che con sincerità riesce a dire del nostro oggi attraverso tre donne siriane, che di questo nostro oggi portano il drammatico peso. I festival del Cinema servono anche a questo.