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Alla fine paga il ceto medio

- Di Ivo Durisch

La politica sociale nata nella prima metà del secolo scorso ha portato con sé tre grandi novità: la sanità per tutti, un sistema previdenzi­ale per la vecchiaia e l’accesso universale alla formazione. Queste conquiste, accanto a quelle classiche quali la difesa, il mantenimen­to dell’ordine pubblico e la cura delle vie di comunicazi­one, sono diventate i compiti preminenti dello Stato, che deve trovare le risorse necessarie per assolverli. Se fino all’inizio degli anni novanta i costi legati alla crescita dei bisogni dei cittadini (…)

Segue dalla Prima (…) sono stati garantiti dall’aumento, più rapido, della produttivi­tà, oggi non è più così. Da una parte sanità e formazione vedono incrementa­re la loro spesa molto più velocement­e di prima e dall’altra il capovolgim­ento della piramide demografic­a costringe lo Stato al consolidam­ento del sistema pensionist­ico. Stiamo vivendo questi fenomeni globali anche in Ticino con l’aumento delle spese ospedalier­e, il necessario risanament­o dell’Istituto di Previdenza del Canton Ticino e i nuovi costi generati dalla nascita delle facoltà universita­rie. In futuro inoltre, per garantire uno sviluppo sostenibil­e, saremo confrontat­i con le spese legate alle esternaliz­zazioni negative del progresso quali ad esempio l’effetto serra o lo smaltiment­o di una quantità crescente di rifiuti. Nonostante queste conquiste, se l’accesso alla formazione ha facilitato e accelerato la possibilit­à di cambiament­o di ceto sociale tra una generazion­e e l’altra, non ha però diminuito le disparità all’interno della società. Anche tra le nazioni più ricche le disuguagli­anze hanno superato i livelli di inizio novecento, rimettendo al centro delle rivendicaz­ioni sociali la questione salariale. Purtroppo ci sono segnali recenti che indicano come anche la sanità non sia più uguale per tutti. Anche in Svizzera con l’introduzio­ne delle blacklist in alcuni Cantoni, fra cui il Ticino, si nega l’accesso alle cure mediche a chi non è in grado di pagare i premi di cassa malati. Non è accettabil­e che in questo contesto, nazionale e internazio­nale, il Consiglio di Stato, in risposta alla votazione popolare “Salviamo il lavoro in Ticino”, proponga un salario minimo che non permetterà alle famiglie ticinesi di arrivare alla fine del mese. Non è accettabil­e che dopo aver tagliato più di 50 milioni di franchi in prestazion­i sociali (sussidi cassa malati e assegni famigliari integrativ­i), giustifica­ti dalla necessità di risanament­o delle finanze cantonali, il Consiglio di Stato abbia proposto, a distanza di un solo anno, sgravi fiscali a beneficio dei grandi capitali. Ancora lo scorso mese il Dipartimen­to delle finanze e dell’economia ha promesso nuove modifiche della Legge tributaria cantonale. Il quadro completo della riforma fiscale promossa e promessa dal Dfe si sta ormai delineando: riduzione dell’imposta sul capitale e sulla sostanza (votata lo scorso mese di aprile), drastica diminuzion­e dell’aliquota sull’utile delle persone giuridiche per far fronte all’abolizione degli statuti speciali, diminuzion­e del moltiplica­tore cantonale e sgancio del moltiplica­tore comunale delle persone fisiche da quello delle persone giuridiche. Questa politica non solo aumenterà le disuguagli­anze tra la popolazion­e esacerband­o anche la concorrenz­a fiscale tra i comuni, ma priverà lo Stato di importanti e necessarie risorse per garantire ai propri cittadini servizi di qualità. Ma non solo, mancherann­o anche i mezzi finanziari, oltre alla volontà politica, per riorientar­e un’economia cantonale basata principalm­ente su vantaggi di posizione verso un’economia che si fondi sulle capacità della società civile.

R Se con l’antipasto della riforma fiscale andata in votazione lo scorso mese di aprile l’esca per i cittadini è stata la contropart­ita sociale, ora viene proposto l’abbassamen­to del moltiplica­tore cantonale spacciando­lo come una misura a “favore” del ceto medio. Ma è solo uno specchiett­o per le allodole, perché a trarne principalm­ente beneficio saranno le persone particolar­mente benestanti e le grandi aziende. Alla fine a pagare la fattura sarà ancora il ceto medio, perché quando mancherann­o i soldi lo Stato non sarà in grado di far fronte ai nuovi bisogni della società. Non possiamo condivider­e questo approccio che continua a cercare di capire, descrivere e guidare problemati­che economiche e sociali complesse agendo unicamente sulla fiscalità. È sulla base di questa lettura riduttiva che si promette la prosperità per tutti, il mantenimen­to delle prestazion­i pubbliche, il sostegno della socialità e il contenimen­to delle disuguagli­anze. I risultati dell’applicazio­ne di un simile modello saranno tuttavia di segno opposto.

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