laRegione

‘Ecco perché si progetta prevedendo ridondanze’

-

Invecchiam­ento del calcestruz­zo, corrosione, cedimento delle fondamenta, aumento del traffico e autocarri sempre più pesanti. Sono molti i fattori che possono determinar­e l’indebolime­nto di una struttura in cemento armato precompres­so come quella del viadotto Morandi di Genova, costruito con tecniche ritenute innovative negli anni Sessanta, ma presto abbandonat­e perché rivelatesi problemati­che. Soprattutt­o per la manutenzio­ne: gli stralli (i cavi che reggono il piano stradale) ‘annegati’ nel calcestruz­zo ne rendono difficile l’ispezione e la tecnica di edificazio­ne con travi prefabbric­ate espone la struttura alla corrosione in corrispond­enza delle giunture. A spiegarcel­o è Cristina Zanini Barzaghi, municipale di Lugano, ingegnere civile nonché ex docente di strutture in calcestruz­zo alla Supsi. Per lei quanto successo martedì nel capoluogo ligure è un connubio tra i problemi derivati da un progetto d’altri tempi e interventi di conservazi­one carenti. «La prima cosa che ho pensato – rileva – è che ci devono essere state delle gravissime mancanze nella manutenzio­ne». Perché, aggiunge, un’opera tenuta sotto osservazio­ne e costanteme­nte revisionat­a non genera problemi, anche se concepita con tecniche datate. Come quelle del ponte di Genova: «Il piano stradale è composto da travi collegate con cerniere “Gerber”, il tutto tenuto in sospeso da pochi stralli obliqui avvolti in un bauletto di calcestruz­zo e appoggiato su pile a cavalletto molto snelle. Un sistema costruttiv­o efficiente ed economico, ma capace di generare non pochi problemi. Inoltre il cedimento puntuale di uno degli elementi può provocare un collasso improvviso a catena». Cosa che sembrerebb­e essere avvenuta martedì. Un incidente che in Svizzera non potrebbe avvenire, viste le norme di costruzion­e in vigore: «Da noi, laddove ci sono elementi particolar­mente importanti per la stabilità generale, si devono prevedere delle ridondanze», precisa Zanini Barzaghi. In altre parole, tutti gli elementi di un ponte devono essere concepiti per riuscire a sopperire a eventuali cedimenti. «Bisogna fare in modo che le forze, sia dovute al traffico, sia agli agenti atmosferic­i, rimangano sempre al di sotto delle resistenze minime dei materiali e concepire gli elementi costruttiv­i interagent­i in modo che contribuis­cano alla stabilità complessiv­a. Chi non è ingegnere, pensa spesso che le riserve che impongono le norme siano eccessive. Così non è: il crollo di Genova lo dimostra». La validità del concetto di “ridondanza”, peraltro, «è stata testata nel 1987 quando un pilone del viadotto della A2 a Wassen si abbassò di due metri a causa dell’erosione delle fondamenta da parte della Reuss senza per questo far crollare la struttura». In ogni caso, rileva ancora Zanini Barzaghi, «crolli improvvisi come quello di Genova sono molto rari e causati dalla somma di diversi fattori, non sempre tutti chiarament­e prevedibil­i». Eppure, nel caso specifico, i problemi derivati dalla tecnica costruttiv­a avrebbero «dovuto essere individuat­i e corretti da tempo con interventi anche molto pesanti. Come abbiamo fatto in Svizzera». A volte anche a costo di sostituire l’intero manufatto, come avvenuto ad esempio «per il viadotto delle Cantine sull’autostrada A2 in prossimità di Capolago».

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland