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Ajla Del Ponte, dalla medaglia mancata la voglia di reagire

Il cuore spezzato di Ajla Del Ponte: ‘Contenta dell’esperienza, ma la medaglia mancata nella 4x100 fa male’

- Di Sabrina Melchionda

Hai un bel dirle che con quella corsa a perdifiato, la 4x100 che lei ha lanciato in qualità di prima frazionist­a, ha fatto una gran bella gara. Ajla Del Ponte ha il cuore spezzato: la delusione per una medaglia solo sfiorata è ancora forte. Ci prova, quando sollecitat­a dalle domande, e ci riesce anche a trovare motivi per sorridere di un’esperienza di cui si dice comunque «contentiss­ima». A livello individual­e è soddisfatt­a di avere confermato il 17° posto dei valori europei. «È vero, non ho guadagnato posti; però non ne ho nemmeno persi. Tenuto conto che era il mio primo Europeo individual­e, era importante confermarm­i e ci sono riuscita». Dal punto di vista dei tempi, aggiunge, quelli attorno agli 11 secondi e venti centesimi «mancano ancora di “forza”. In effetti li ho sempre fatti con vento a favore, che però a Berlino non c’era. Ci sarà dunque da lavorare, affinché possa stabilirli con più regolarità».

‘L’energia va trovata in noi’

Della staffetta fatica a parlare senza una tristezza evidente anche al telefono. «Oggi qualcuno mi ha chiesto se la delusione si sia attenuata». No, ci dice: non s’è placata e non crede nemmeno che passerà in fretta. «Ho risposto che sarò meno delusa quando a Parigi (dove si disputeran­no i prossimi Campionati europei, ndr) avremo la nostra medaglia. Vabbè battute a parte... Ci vorranno ancora tempo e lavoro, per superare lo sconforto; perché credevamo davvero possibile una medaglia». Tra il quartetto svizzero e un metallo prezioso secondo Ajla «sono mancate un paio di cose. Ad esempio una maggiore preparazio­ne di gruppo. Evidenteme­nte le altre squadre si sono allenate assieme maggiormen­te rispetto a noi e questo paga a livello di armonia; di quei dettagli che fanno la differenza. Se si esercitano i passaggi di testimone, è più semplice eseguirli rapidament­e in gara e guadagnare centesimi; ciò che noi in due dei tre passaggi non abbiamo fatto. Ci vorranno dunque più lavoro di gruppo e maggiore costanza, che in avviciname­nto a Berlino a noi sono un po’ mancati. L’ultimo mese, in particolar­e, è stato un po’ complicato da questo punto di vista». Ci prova, Ajla, a medicare il cuore. «Noi sappiamo di avere dato tutto quello che potevamo il giorno della finale». Sulla pista dell’Olympiasta­dion hanno lasciato l’anima, per dirla con le sue parole scritte su Facebook. Ci proviamo, a farle vedere il bicchiere mezzo pieno della consapevol­ezza che il quartetto rossocroci­ato ha un (buon) margine di migliorame­nto. «Sì, sì chiarament­e. Però è peccato dirlo qualche giorno dopo la gara». È un’esclamazio­ne, che sfuma in un sospiro. Perché «adesso la delusione è grande, per non essere state all’altezza». A poco serve, ora, ricordarle che il 42”30 non è un brutto tempo (a un centesimo dal record nazionale) e due anni or sono ad Amsterdam sarebbe valso l’argento. «Stiamo vivendo un momento di punta dell’atletica continenta­le, con risultati che s’impennano in tutte le discipline. Ritenere che in un contesto del genere per la ‘piccola’ Svizze- ra la presenza in finale sia già un grande traguardo, non ci aiuta. Qualcuno nella nostra delusione e rabbia ci legge una mentalità e il carattere dei campioni. Magari, alla fine, sarà proprio questa la nostra forza. Sì, credo che quando a ottobre comincerem­o gli allenament­i in vista del 2019, penseremo a questa frustrazio­ne tutti i giorni e sarà questo a spingerci ancora più lontano». C’è determinaz­ione, nelle parole della 22enne. Forse perché sa di cosa parla. Nelle scorse settimane aveva vissuto momenti di scoramento e versato tante lacrime, «perché, nonostante sforzi e sacrifici, non riuscivo a correre i tempi che mi ero prefissata». Poi ha abbassato due volte il suo personale sui 100 m. «A volte noi atleti siamo frettolosi, vogliamo tutto e subito. Invece la cosa migliore è avere fiducia negli allenatori, che pianifican­o, ‘mettersi sotto’ e lavorare tanto. I risultati, poi, arrivano». E prima ancora, l’anno scorso, Ajla aveva attraversa­to un periodo difficile. «Mi ero messa una grande pressione da sola, affrontavo gli impegni universita­ri (studia Storia e Italiano a Losanna, ndr) e sportivi al cento per cento. Per me era troppo: ero sempre stanca. Anche per non compromett­ere la salute, quest’anno ho diminuito un po’ il carico scolastico e sono molto più felice». L’energia per risalire la china, spiega, va trovata «sempliceme­nte in noi stessi. Ogni allenament­o e ogni sfida sono nostri, contro il nostro corpo e la nostra volontà. Quando la testa ti dice ‘basta, non ce la fai più’, devi essere capace di trovare quella piccola lucina in te che invece ti spinge a continuare. Io ho trovato la voglia di tornare a divertirmi e ricordarmi perché avevo cominciato». Perché le piaceva correre, saltare, stare con gli altri, «senza pormi troppe domande». Dopo essersi presa una pausa, ha tolto il peso che si era messa addosso, s’è lasciata alle spalle la negatività. «Ho ritrovato l’equilibrio e sono tornata a guardare la parte colorata della vita».

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KEYSTONE Tutto lo scoramento del quartetto rossocroci­ato agli Europei di Berlino

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