L’alcol, la furia, la fuga
Nel 2015 incendiò un rustico nelle Centovalli. Nel 2017 accoltellò un uomo in ‘Rotonda’ Atto d’accusa confermato: 4 anni sospesi per consentire il trattamento psichiatrico stazionario del 38enne
“Sono stufo di pagare per situazioni create da altri” dichiarava agli inquirenti dopo l’ultimo dei suoi gesti sconsiderati. “Sconsiderato” è forse riduttivo quando si infligge a un rivale (non si sa bene in cosa) una ferita di 32 cm di lunghezza per 5 di profondità, portata in orizzontale nella zona lombare, sfiorando i centri vitali con un’arma che nessuno – una volta setacciata tutta Piazza Castello e relativi tombini – ha mai trovato. Era il novembre del 2017 e in quell’occasione, dell’aggressore, si parlò come di “persona già nota alle forze dell’ordine”. Il processo tenutosi ieri alle Criminali di Lugano ha chiarito i dettagli. Difeso d’ufficio dall’avvocato Manuela Fertile, il 38enne davanti al giudice Mauro Ermani (giudici a latere Brenno Martignoni Polti e Luca Zorzi) e al pp Paolo Bordoli doveva rispondere sì di tentate lesioni gravi, omissione di soccorso e infrazione alla Legge federale sulle armi per i fatti avvenuti in ‘Rotonda’, ma pure di incendio intenzionale aggravato per aver ridotto in cenere un rustico nelle Centovalli, abitazione nella quale stava trascorrendo la vigilia di Natale del 2015 insieme alla madre, alla compagna di allora e a uno dei quattro figli avuti da tre diverse donne.
Uno schema ricorrente
Precedenti per guide “in stato di inattitudine”, una condanna per omicidio colposo (22 mesi sospesi condizionalmente) e una per turbamento della pace dei defunti. Tra i comuni denominatori delle azioni del 38enne ci sono l’alcol e un disturbo della personalità riscontrato dalla perizia psichiatrica, in uno schema che all’alcol unisce la furia per motivi “futili, poco intelligenti, egoistici” (così li riassume Ermani) e la fuga dalla ‘scena del crimine’. È da una battuta della compagna che nel 2015 scaturiscono il lancio di oggetti verso il camino e il ribaltamento di un buffet con tizzoni ardenti, da cui l’incendio (poco prima, l’abbattimento di un pilastro in legno con una motosega). È una telefonata dal contenuto mai chiarito a scatenare nel 2017 il peggio. Dopo la furia, la fuga. Tre anni fa lascia a piedi il rustico per andare a dormire, a valle, nel letto di casa, abbandonando madre, compagna e figlio minorenne al rogo dal quale, da soli, si salvano. Saranno abitanti della valle ad allarmare i pompieri. Dopo due mesi di detenzione preventiva alla Farera, ottiene la libertà in cambio di misure terapeutiche e di controllo imposte dal precedente pp. Libertà che sfuma nel 2017 in ‘Rotonda’: dopo l’accoltellamento ripara a casa della madre, dove viene arrestato.
‘Non lontani dal tentato omicidio’
In entrambi i casi «non siamo lontani dal tentato omicidio», dice il presidente della Corte poco prima di emettere la sentenza. «Sa che c’erano bombole del gas, le candele e un camino accesi; vede il fuoco e invece di chiamare i soccorsi se ne torna a casa, senza preoccuparsi dei presenti». Dolo diretto nel 2015, colpa grave nel 2017, cui si unisce l’avere infierito sulla vittima già colpita e a terra, percossa (dicono i testimoni) a colpi di calci e zaino (e nello zaino, una pistola giocattolo alla quale fu preferita la lama). A favore del 38enne, «la situazione personale, il buon comportamento in carcere, il passato difficile e i disturbi psichici», attenuazione di una colpa compensata però «dai precedenti e dall’aspetto ‘calcolatore’», corredato da alcuni “non ricordo” giustificati con la non sobrietà del momento.
Due parole da 5 lettere
Atto d’accusa confermato, difesa respinta: 4 gli anni di carcere inflitti, uno in più di quanto chiesto dal pp («quando beve può diventare violento: lo sapeva prima del 2015, a maggior ragione nel 2017», aveva detto il pp Bordoli). Quattro anni sospesi per dare luogo al trattamento psichiatrico stazionario in una «struttura terapeutica con regole severe, rigida custodia e personale ad hoc, di difficile reperibilità in Ticino». Quattro anni per una vicenda che Ermani ha sin dall’inizio definito «di 5 lettere», quelle contenute nella parola “alcol” e nella parola “scuse”, che «dall’imputato, in tutto questo tempo, sono sempre mancate».