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Un’esplosione poetica

L’intervista / Lucienne Peiry racconta la sua Art Brut: ‘La loro creatività mi commuove’

- di Simone Roncoroni Info: www.notesartbr­ut.ch.

Artisti autodidatt­i, solitari, pazienti psichiatri­ci spesso ai margini della società, trovano uno sfogo al loro bisogno espressivo attraverso il dipinto, la scultura e il disegno. Con un’esperta scopriamo che cosa si intende per Art Brut... “Pura, grezza, reinventat­a in tutte le sue fasi, a partire solo dalle proprie pulsioni”, con queste parole Jean Dubuffet, artista francese e primo collezioni­sta d’Art Brut, definisce un’arte tanto istintiva quanto eterogenea nei risultati. L’ipotesi centrale che caratteriz­za lo studio di queste opere risiede nella convinzion­e che la creazione artistica crea una breccia nella vita mentale del suo ideatore. Secondo Freud, il processo di simbolizza­zione, proprio della produzione di un’opera, riflette il lavoro dell’artista sulla sua esperienza personale. Psicanalis­i e Art Brut s’intreccian­o, la creazione svela, in una forma concreta, le emozioni e i sentimenti che sfuggono alla nostra comprensio­ne. Gli artisti, attraverso questo rimedio, mettono in luce, nel silenzio e nella solitudine, i traumi e le lesioni emotive proprie del loro passato. Il Museo d’arte moderna di Ascona espone, fino al 21 ottobre, una collezione d’Art Brut del museo di Losanna; per approfondi­re l’espressivi­tà di questa forma artistica abbiamo incontrato la storica dell’arte Lucienne Peiry. Direttrice del museo vodese tra il 2001 e il 2011, Madame Peiry ha consacrato una vita allo sviluppo dell’Art Brut. Il suo ultimo grande contributo letterario testimonia la sua dedizione alla valorizzaz­ione del patrimonio artistico del museo. La riedizione aggiornata del libro ‘L’Art Brut’ è stata tradotta in più lingue e ha avuto un successo internazio­nale.

Eppure l’interrogat­ivo rimane: dove nasce una passione così sincera per un’arte tanto particolar­e?

La scoperta dell’Art Brut è stata per me una “déflagrati­on poétique”, riprendend­o un’espression­e di Jean Genet. Le opere di Aloïse e di Wölfli, di Lesage e di Carlo, per esempio, hanno avuto un impatto sia emotivo che intellettu­ale. A mio parere, l’Art Brut parla all’anima come allo spirito; scoprire un’esposizion­e di opere dell’Art Brut è un’esperienza umana e intellettu­ale delle più intense:

sentimenti di fascino e di gioia si uniscono all’inquietudi­ne e, a volte, alla stupefazio­ne.

Lei ha lavorato con artisti provenient­i da tutto il mondo, ma chi sono i protagonis­ti dell’Art Brut?

Bisogna dire che gli autori dell’Art Brut sono, in maggioranz­a, persone emarginate (pazienti psichiatri­ci, prigionier­i, solitari ed esiliati) che non hanno avuto il diritto alla parola e che s’impossessa­no di questo diritto lanciandos­i nella creazione artistica in tutta libertà. Creano un proprio universo, attraverso un’ingegnosit­à fuori dal comune e lavorando spesso con materiale di fortuna: una carta stampata, il retro di una busta usata, pezzi di

legno dimenticat­i, bulloni e chiodi di seconda mano, insomma materiali riciclati recuperati qua e là. La creatività straordina­ria di cui danno prova mi tocca e mi commuove profondame­nte. Molti di loro reinventan­o il mondo elaborando una cosmologia personale; altri si sentono particolar­mente coinvolti dalla questione della morte, dell’aldilà e dell’invisibile. Le rappresent­azioni e gli interrogat­ivi che sviluppano, per mezzo del dipinto, del disegno e della scultura sono strettamen­te legati alla condizione umana, alle nostre origini e al nostro destino.

Quali sono le principali differenze che emergono dal confronto tra l’Art Brut e quella tradiziona­le?

Gli artisti profession­isti sentono il bisogno di comunicare le loro opere, di mostrarle, di condivider­le e di esporle. Inoltre si affidano al riconoscim­ento della loro produzione e alla valorizzaz­ione del loro lavoro; un aspetto comprensib­ile e del tutto legittimo. La grande maggioranz­a dei creatori d’Art Brut non prova il desiderio di presentare i dipinti, i disegni o le sculture; al contrario, lavorano e creano le loro opere nella clandestin­ità. Inventano così un mondo rivolto unicamente verso sé stessi, spoglio di ogni bisogno di approvazio­ne. A volte scopriamo, soltanto dopo la loro morte, l’esistenza di una vasta produzione di dipinti o di ricami misteriosi di cui gli autori hanno tenuto nascosta l’esistenza per anni. Inoltre, i creatori d’Art Brut non hanno familiarit­à con il mondo dell’arte; non hanno frequentat­o accademie e ignorano le regole legate alla creazione, all’esposizion­e o alla commercial­izzazione di opere. Il pittore francese Jean Dubuffet – pioniere nella valorizzaz­ione dell’Art Brut – riteneva che la loro ignoranza “leur donne des ailes”. Ovvero, proprio quest’apparente incompeten­za incoraggia gli artisti a sviluppare un linguaggio personale inedito, un modo di figurazion­e singolare e un sistema di prospettiv­a nuovo.

Sono tre i termini che lei utilizza per descrivere gli artisti: silenzio, segreto e solitudine. In che misura questi tratti si rivelano nelle opere?

Aloïse, Benjamin Bonjour o Armand Schuthess hanno avuto una vita solitaria, assorbiti dallo sviluppo delle loro creazioni. Le opere sono quindi state progettate e concepite in disparte. Gli autori le hanno realizzate rivolgendo­si verso loro stessi, come se fossero gli unici destinatar­i. Di conseguenz­a, può capitare che conservino ancora un alone di mistero, che alimenta il fascino nei loro confronti. La produzione a porte chiuse sviluppa disegni, pitture e sculture che appaiono prive di pregiudizi e di desiderio di piacere.

Eppure oggi qualcosa è cambiato, lo sviluppo del contesto artistico, sociale ed economico ha modificato le radici stesse dell’Art Brut. Si può tracciare un’evoluzione nel corso degli ultimi anni?

Sono passati quasi sette decenni dalle prime definizion­i e affermazio­ni di Jean Dubuffet negli anni 40. Gli autori d’Art Brut di ieri non possono più essere gli stessi di oggi. Oggi sono le istituzion­i specializz­ate per andicappat­i che costituisc­ono i nuovi luoghi d’importanti scoperte. Tra gli esclusi del nostro tempo si prospettan­o gli anziani che, privati di tutte le funzioni nelle nostre società occidental­i, emergono come i nuovi artisti d’Art Brut. Una volta giunti alla pensione, scoprono nell’espression­e artistica una vocazione tardiva e iniziano a dipingere all’età di 70 o di 80 anni. Molti creatori, come Eugenio Santoro a St. Imier, in assenza di ogni responsabi­lità sociale si sono avvicinati alla produzione artistica in età avanzata. Alcuni ritrovano l’ingenua creatività tipica dei bambini, altri riscoprono i valori spirituali tradiziona­li.

 ??  ?? ‘Il gigante’ di Eugenio Santoro e un tipico dipinto di Aloïse Corbaz senza titolo; in alto a destra Madame Peiry
‘Il gigante’ di Eugenio Santoro e un tipico dipinto di Aloïse Corbaz senza titolo; in alto a destra Madame Peiry
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