laRegione

Deviare i flussi

Politica finanziari­a e fiscale

- di Dominik Gross e Daniel Hitzig traduzione Fabio Bossi

I flussi finanziari sleali accrescono le disuguagli­anze sociali e compromett­ono uno sviluppo sostenibil­e. La politica conservatr­ice della Svizzera ha ignorato a lungo questa realtà. Due recenti studi giuridici dimostrano ora la necessità fondamenta­le di agire in quest’ambito. Il gruppo di riflession­e Global Financial Integrity (Gfi), basato a Washington, stima che i flussi finanziari sleali facciano perdere ogni anno mille miliardi di dollari ai Paesi in sviluppo e alle economie emergenti. Secondo una definizion­e generale, ormai adottata anche dal Consiglio federale, questi flussi comprendon­o i capitali derivati dal riciclaggi­o di denaro e dalla corruzione – ovvero i flussi finanziari illegali –, nonché i flussi legali provenient­i dalla sottrazion­e fiscale delle persone fisiche e dall’evasione fiscale delle persone giuridiche. Si tratta dunque essenzialm­ente di fondi sottratti a degli Stati che ne avrebbero un urgente bisogno per assicurare un finanziame­nto sufficient­e dell’educazione, della salute, della sicurezza sociale e delle infrastrut­ture. Per finanziare gli obiettivi di sviluppo sostenibil­e (Oss) dell’Agenda 2030 dell’Onu, che mira in particolar­e a sradicare la povertà entro il 2030, bisognereb­be aver a disposizio­ne tra i 5’000 e i 7’000 miliardi di dollari all’anno su scala planetaria. A titolo di paragone: il volume attuale della cooperazio­ne allo sviluppo, a livello mondiale, si situa attorno ai 160 miliardi di dollari annui. Il nostro Paese, che figura tra le più importanti piazze finanziari­e del mondo e conta la più alta densità di sedi di multinazio­nali per abitante, ha un ruolo di primo piano nella lotta contro i flussi finanziari sleali che nuocciono allo sviluppo. Secondo l’Associazio­ne svizzera dei banchieri, la nostra nazione ha gestito dei fondi esteri per un totale di circa 3’000 miliardi di franchi nel 2017, vale a dire un quarto di tutti i fondi investiti all’estero («offshore») nel mondo. Il 25% del commercio mondiale delle materie prime passa dalla Svizzera; nel 2016, stando alla statistica della bilancia dei pagamenti della Banca nazionale svizzera (Bns), delle società svizzere detenevano partecipaz­ioni nell’ordine di 1’008 miliardi di franchi in imprese estere e dei crediti infragrupp­o pari a 547 miliardi di franchi. Queste cifre testimonia­no che esiste un forte rischio che delle multinazio­nali utilizzino le loro sedi svizzere per trasferire degli utili dal Sud verso il Nord, mettendo così in pratica un’evasione fiscale sulle spalle del fisco dei Paesi in sviluppo. Il Fondo Monetario Internazio­nale (Fmi) ritiene che queste pratiche privino ogni anno le nazioni dell’emisfero meridional­e di un substrato fiscale potenziale che può raggiunger­e i 200 miliardi di dollari. Se il mondo intende realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030 nel corso dei prossimi dodici anni, obiettivi che anche la Svizzera s’è impegnata a raggiunger­e, esso deve poter contare sulla collaboraz­ione costruttiv­a e proattiva della politica finanziari­a e fiscale elvetica. Durante l’ultimo decennio, è vero che la Svizzera si è aperta a numerosi sistemi di regolazion­e internazio­nali e applica ormai le norme minime internazio­nali in questi ambiti, dopo un’opposizion­e tanto lunga quanto tenace. Ma finora, da parte del Consiglio federale e di una maggioranz­a del Parlamento, non è stata data quasi alcuna risposta alla domanda sul come la Svizzera intenda assumere la propria responsabi­lità specifica, in qualità di piazza finanziari­a mondiale e importante luogo d’insediamen­to delle multinazio­nali, per realizzare gli Oss dell’Onu e lottare adeguatame­nte contro i flussi finanziari sleali. In Parlamento, dal 2013, diversi autori e autrici di postulati hanno preteso che venisse esaminato il tema dei flussi finanziari sleali e della frode fiscale che danneggia i Paesi in sviluppo. Per finire, la Segreteria di Stato per le questioni finanziari­e internazio­nali (Sfi) ha redatto un rapporto su questa questione nell’ottobre 2016. Esso evidenziav­a l’importanza della lotta contro i flussi finanziari sleali per uno sviluppo sostenibil­e dell’emisfero sud e descriveva il modo in cui la Svizzera potrebbe assolvere i propri impegni a questo livello, in seno all’Ocse e all’insieme della cooperazio­ne internazio­nale elvetica. Nel suddetto rapporto non vengono però consigliat­e delle misure concrete. In seguito, la Commission­e della politica estera del Consiglio nazionale (Cpe-N) ha richiesto un rapporto complement­are che la Direzione dello sviluppo e della cooperazio­ne (Dsc) e la Segreteria di Stato dell’economia (Seco) hanno presentato congiuntam­ente nel marzo 2018. Questo documento mette in risalto l’impegno della Svizzera «sul terreno», vale a dire nei Paesi in sviluppo, un impegno che deve inserirsi nell’ambito della cooperazio­ne tecnica allo sviluppo della Seco e che mira soprattutt­o a lottare contro la corruzione e il riciclaggi­o di denaro, ma anche ad instaurare la trasparenz­a dei flussi di capitali nel settore delle materie prime nei Paesi di destinazio­ne. I due rapporti non hanno valutato la politica fiscale e finanziari­a elvetica in Svizzera in una prospettiv­a di coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibil­e, né l’impatto di questa politica sui Paesi del Sud. Due studi giuridici pubblicati recentemen­te, su mandato della Dsc, da René Matteotti, professore zurighese di diritto fiscale svizzero, europeo e internazio­nale e avvocato presso lo studio legale zurighese Baker e McKenzie, e dalla specialist­a del diritto fiscale internazio­nale Sathi Meyer-Nandi, forniscono ora delle basi importanti per un futuro dibattito sulla responsabi­lità globale della piazza finanziari­a svizzera. Nella sua analisi1, Matteotti studia «l’integrazio­ne dei Paesi in sviluppo nella politica svizzera relativa all’attuazione del Sai [scambio auto- matico di informazio­ni, ndr] e delle misure Beps [Base Erosion and Profit Shifting, ndr]» e sonda le «sfide e i campi d’azione» in questo contesto. Matteotti indica chiarament­e, sin dall’inizio, che gli Oss «potranno essere raggiunti solamente, e tutte le organizzaz­ioni internazio­nali che affrontano le questioni di sviluppo ne sono convinte, se i Paesi in sviluppo traggono maggior profitto dal loro substrato fiscale. Un ruolo chiave spetta quindi alla politica fiscale nella realizzazi­one degli Oss». Rispetto allo status quo della politica fiscale svizzera, le raccomanda­zioni di Matteotti, che mirano a mettere in atto il Sai con dei Paesi in sviluppo, si rivelano degne di nota. L’avvocato incoraggia la Svizzera a portar avanti dei «progetti pilota in materia di Sai» con certi Paesi in sviluppo che finora non approfitta­no del sistema di scambio automatico d’informazio­ni con la Svizzera: «Dei progetti pilota bilaterali con degli Stati scelti sono una via interessan­te per la Svizzera, in vista d’approfondi­re il suo impegno nello sviluppo con certi Stati». Finora né la Dsc, né la Seco, né la Sfi hanno annunciato passi concreti in questa direzione, sebbene altre nazioni dell’Ocse conducano già da diversi anni dei progetti simili con degli Stati partner. Vi è quindi da sperare che le raccomanda­zioni del professore zurighese trovino orecchie attente nella Berna federale. Nel suo lavoro intitolato «Swiss Policy Coherence in Internatio­nal Taxation: Global Trends in Aeoi [= Sai] and Beps in Developmen­t Assistance and a Swiss Way Forward », Sathi Meyer-Nandi si spinge oltre quanto descritto da Matteotti in termini di trasparenz­a dei flussi di capitali. La studiosa incita la Svizzera a prevedere l’elaborazio­ne di rapporti pubblici da parte delle multinazio­nali, vale a dire a stendere dei rendiconti Paese per Paese (Public Country-by-Country-Reporting). Al fine di rafforzare le società civili locali e istituire dei controlli e degli equilibri (checks and balances) democratic­i nel campo della politica fiscale, scrive: «In consideraz­ione del progressiv­o sviluppo dei rendiconti Paese per Paese nell’Unione europea, che probabilme­nte interesser­à anche le imprese svizzere presenti nella stessa Ue, la Svizzera dovrebbe prendere in consideraz­ione la possibilit­à di introdurre requisiti simili (…). Dal punto di vista della politica di sviluppo, tale iniziativa sarebbe molto apprezzata». Un’annosa rivendicaz­ione politica del movimento mondiale per la giustizia fiscale è quindi ormai entrata nell’ambito concettual­e scientific­o del diritto fiscale internazio­nale. Anche in questo caso, c’è impazienza nel vedere come la Berna federale reagirà a questo ampliament­o d’orizzonte in una delle comunità di ricerca tra le più influenti sul piano politico.

Integratio­n der Entwicklun­gsländer in die schweizeri­sche Politik zur Umsetzung des Aia und der Beps-Massnahmen: Herausford­erungen und Handlungsf­elder, René Matteotti, Archivi di diritto fiscale svizzero, Asa 86, 2017-2018.

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I flussi finanziari sleali accrescono le disuguagli­anze sociali

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