Rispunta Aldo Anghessa, sedicente agente segreto
Alle volte tornano dal passato. È il caso di Aldo Anghessa, 73enne, ex 007 bergamasco, da sempre sedicente agente segreto. Una storia la sua che si è radicata anche in Ticino, dove ha vissuto per anni. Un romanzo senza fine, ricco di misteri, traffici di scorie, armi e bond fasulli. Anghessa è ufficialmente residente a Molina di Faggeto Lario, sulla sponda orientale del lago di Como, latitante da anni, inseguito da un ordine di carcerazione, in quanto deve scontare due anni e mezzo, residuo di pena di una condanna pronunciata 24 anni fa dai giudici di Brescia, per un traffico di armi dal Ticino a Como. Armi che faceva ritrovare nella città di Volta per incassare ricompense da parte del Ministero dell’interno. L’ex 007 recentemente si è fatto intervistare dal quotidiano cattolico ‘Avvenire’ da “un’imprecisata località” africana. Probabilmente dalla Nigeria, dove in passato aveva vissuto a lungo. Di Anghessa ha scritto, pochi giorni fa sul ‘Corriere della Sera’, Guido Olimpio, esperto di spy story internazionali. Una vicenda (quasi) antica sulla quale dopo il clamore iniziale è calato il silenzio. Un altro mistero. È la sera del 20 ottobre 1988, quando a Linate, da un volo proveniente da Beirut, scende Aline Rizkallah, detta Helene. Nei bagagli della donna la Guardia di finanza trova una polverina bianca, mille dollari falsi e, soprattutto, alcuni negativi che mostrano degli ostaggi americani in Libano. E anche due missive. Interrogata dagli investigatori la donna rivela il suo contatto: Aldo Anghessa, che la stava aspettando davanti alla farmacia dell’aeroporto milanese. Helene racconterà che il suo viaggio era parte di una missione per portare al rilascio di alcuni cittadini occidentali, pedine in mano a estremisti libanesi. “Gli scatti che le hanno sequestrato mostrano Alan Steen, professore americano sequestrato nel gennaio 1987, e Terry Anderson, giornalista, rapito dai terroristi filo-iraniani nel marzo 1985” ricorda Guido Olimpio. “Una parte della Jihad è disponibile a trattare, chiede soldi” sostiene la donna libanese. Fonti diplomatiche statunitense fanno sapere che un anno prima Anghessa si era rivolto al consolato Usa di Milano che aveva declinato l’offerta perché non si fidava. “Ero andato a parlare con il funzionario dell’antidroga per ragioni legate ad una vecchia inchiesta in Svizzera” la ricostruzione di Anghessa dell’incontro al consolato Usa. Secca la replica della Dea: non è mai stato un nostro informatore. La polverina non era cocaina, ma antipiretico; una delle due lettere, scritta dal professor Steen, era piena di errori; gli scatti erano delle riproduzioni. Per la Digos un “pacco’’ confezionato da presunti mediatori. Un intrigo finito nell’oblio.