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Tra capitale e rendita

Un terzo degli assicurati preferisce una liquidazio­ne dell’avere di vecchiaia Stando a uno studio del Credit Suisse, la scelta è favorita, oltre che dalla situazione personale, anche dalla pressione fiscale cantonale

- Di Generoso Chiaradonn­a

I quasi pensionati si trovano spesso a dover decidere se prelevare l’avere di vecchiaia in una liquidazio­ne in capitale o in rendita. Poiché in futuro le aliquote di conversion­e potrebbero ancora diminuire, secondo uno studio di Credit Suisse, il capitale integrale diventa più attrattivo. Se ciò è davvero vantaggios­o dipende però dal cantone di residenza. Per far fronte ai tassi bassi e a un progressiv­o invecchiam­ento demografic­o, le casse pensioni hanno ridotto le aliquote di conversion­e nella parte non obbligator­ia della previdenza profession­ale (quella oltre i 126’900 franchi, per intenderci). Vale dunque ancora più la pena affrontare la questione del tipo di liquidazio­ne. Gli esperti giungono alla conclusion­e, che la decisione tra capitale e rendita può avere effetti rilevanti sul reddito disponibil­e durante la vecchiaia. Secondo i calcoli di Credit Suisse, a seconda del luogo di residenza è possibile una differenza nel reddito netto annuale fino a quasi 12mila franchi. Una somma che fa la differenza. Tra gli esempi gli economisti citano Neuchâtel, dove l’onere fiscale è piuttosto elevato. Qui optando per una liquidazio-

ne in capitale il reddito netto annuo può risultare superiore già di diverse migliaia di franchi rispetto alla percezione di una rendita. Oltre a questi elementi finanziari occorre però anche considerar­e la situazione familiare, la succession­e, la salute e la situazione abitativa. Finora non vi è una chiara tendenza verso una maggiore frequenza delle liquidazio­ni in capitale. A fronte di un ulteriore abbassamen­to delle aliquote di conversion­e secondo gli esperti ciò potrebbe però cambiare. Un altro fattore che spingerebb­e a questa evoluzione è la diffusione dei piani di previdenza 1e. Si tratta di una forma di previdenza non obbligator­ia per quote di salari superiori a 126’900 franchi, che prevede di norma una liquidazio­ne in capitale. Per Credit Suisse, i piani 1e hanno dunque conseguenz­e sul sistema di previdenza. Attraverso questi schemi previdenzi­ali che riguardano una quota esigua di salariati rispetto alla maggioranz­a, gli assicurati hanno la possibilit­à di scegliere la propria strategia d’investimen­to e non devono mettere in conto alcuna redistribu­zione tra assicurati attivi e beneficiar­i di rendita. Il rischio d’investimen­to è però in capo agli assicurati stessi. Non è quindi una forma di risparmio proponibil­e a tutte le tasche. Anche i cambiament­i sociali, come la crescente diffusione dell’occupazion­e a tempo parziale e di altre forme di lavoro flessibili come i contratti di lavoro a tempo determinat­o e le attività freelance, mettono a dura prova il sistema previdenzi­ale. Per gli interessat­i queste situazioni possono tradursi in lacune previdenzi­ali, dovute al fatto che i salari sotto la soglia d’ingresso di 21’150 franchi non sono assicurati nella previdenza profession­ale obbligator­ia e inoltre la trattenuta di coordiname­nto riduce lo stipendio assicurato. L’analisi dimostra che, qualora l’ingresso nel mondo del lavoro si sposti in avanti di sei anni, ad esempio per via di una formazione universita­ria o per la maternità, il patrimonio di vecchiaia al momento del pensioname­nto nella fascia di reddito analizzata tra i 50mila e i 200mila franchi risulta inferiore dell’8-10% circa.

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